domenica 18 ottobre 2015

Modulare la voce: dalla προσῳδία all'accentus

Quando incontriamo un accento, scrivendo o parlando, atteggiamo la voce, la moduliamo facendo scivolare il ritmo su una vocale  o, meglio, tagliando quasi bruscamente l'intonazione della voce. 
È un'abitudine naturale per noi, non ci facciamo caso perché ormai il nostro orecchio è avvezzo a individuare una determinata parola e il suo significato, a seconda della "marcatura" della voce.

Vi siete mai chiesti quale sia l'origine del termine accento?

In latino accentus è un sostantivo di IV declinazione. Il termine è cosi composto: ad + cantŭs.

Cantŭs, cantūs è un sostantivo maschile di IV declinazione che individua un prodotto musicale (canto, suono, musica, poesia).
La preposizione ad, in questa situazione, indica un moto a luogo o di fine.
Dunque l'accentus si muove verso la melodia, è un segno (grafico e orale) finalizzato ad ottenere un suono armonioso.

L'accento aveva ed ha una funzione precisa, quella di accompagnare, attraverso l'elevazione della voce, ad una resa sonora marcata.

Non a caso l'accentus latino era la traduzione di προσῳδία greca, termine che aveva appunto lo stesso significato, dato dall'anteposizione della preposizione προσ ᾠδή (canto). 

Tornando alla lingua italiana, l'accento può sottolineare diverse intonazioni e differenti significati della parola, all'interno o alla fine della quale è posizionato. Pertanto esso ha chiaramente un'importanza fondamentale.

Soprattutto per quei segni posti a fine di parola: sono preziosissimi, non fatene un uso sconsiderato, collocandoli magari a supplire persino l'apostrofo!

Concetta D'Orazio




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