Concetta D'Orazio
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lunedì 22 gennaio 2024
La casa museo di Ignazio Silone, a Pescina
venerdì 5 gennaio 2024
Il latino sui Social
Articolo da me già pubblicato nell'aprile del 2021
Ormai tanti anni fa, la prima volta in cui digitai la parola "latino" nella barra di ricerca di un Social, lo feci quasi per scherzo. Figuriamoci!
E poi zompettavano, sperimentando un girotondo di quelli di tipo classico: utor, fruor e fungor si tenevano per mano, intonando strane melodie. Attorno ad essi. si succedevano, in ordine e con grazia, tutti i tipi di proposizione: c'era la consecutiva e c'era la finale. Vedevo poi l'ut con il congiuntivo. Ognuno provava passi nuovi ma tutti avevano un solo timore e rispettavano un solo comandante: la consecutio temporum.La lingua la conoscevo ma non riuscivo ad immedesimarla in quel contesto: un ambiente moderno, lontano, Social insomma.E chi l'avrebbe mai detto? Quelle parole, quei costrutti, lì, proprio lì. Quello che fu per me ancor più sorprendente è stato trovare persone che si esprimevano in lingua latina come se così parlassero correntemente tutti i giorni, a casa propria. Salutai e mi presentai. Da quel momento entrai anch'io nel foro latino più virtuale che avessi mai potuto immaginare.In un secondo tempo ho scoperto che tanti gruppi di latinisti si trovano su Facebook. Ad essi sono iscritti persone che abitano in diverse parti del mondo. Incredibile. Loro si salutano, si nominano, si ringraziano. Sempre in latino.La scelta di scrivere in questa lingua li ricompensa con la possibilità che essa ha di esprimere le sfumature di significato, di uso e di direzione delle parole.Avete presente quante sono le soluzioni, tanto per fare un esempio, per il sintagma verbale "dico"? Utilizziamo aio, ma anche dico. Sceglieremo di scrivere loquor, fero, inquam, narro e altro ancora, a seconda di quanto viene riferito negli altri segmenti della frase.Il latino originario si presta ad indicare le azioni, i pensieri e le emozioni di ognuno in maniera variegata. Certo, dobbiamo anche pensare che, tuttavia, questa lingua ha pure i suoi annetti. Se li porta bene, forse anche troppo, ma qualche volta ha necessità di essere impinguata di nuovi vocaboli, laddove gli originali non siano adatti a delimitare e determinare con precisione situazioni e prodotti del presente. Gli amici latinisti però non si perdono d'animo e cercano di aggirare l'ostacolo, ricorrendo a perifrasi appropriate o a vocaboli di nuovo conio. In situazioni estreme adattano anche le parole primitive a circostanze moderne.Capita che le belle foto che qualche amico ha pubblicato si trasformino in pulchrae (o pulcherrimae all'occasione) imagines. Solo per fare un esempio.Mi rintrona nella testa quella brutta figurazione che delle lingue classiche ci hanno dato, definendole "lingue morte". Mi chiedo: come si fa a definire esanime un idioma che è invece così pieno di spirito? Che accomuna? Che favorisce?In rete il latino sta recuperando tutta la sua vivacità.E che questo sia chiaro, da cum dividere, insomma!
Concetta D'Orazio
lunedì 1 gennaio 2024
Dal latino al volgare. La lingua evolve.
L'evoluzione si compie con una certa spontaneità, tanto che i soggetti interessati da tale cambiamento non sono esattamente consci di questa transizione oppure avvertono che, nel loro modo di esprimersi, iniziano a comparire, e soprattutto ad essere accettate, alcune novità, ma la loro consapevolezza a tal riguardo rimane confinata nel limbo delle situazioni a cui ci si deve adattare, senza fare tante domande.
Alcune persone accettano di buon grado le innovazioni in campo linguistico, altre si chiedono la motivazione che ha portato ad approvare nuove parole, a crearne, a cambiare la sfumatura semantica di talune espressioni ma, infine, anche loro approvano il cambiamento e lo fanno proprio. Vi sono quindi i linguisti, gli esperti del linguaggio che di certo di fronte ai cambiamenti si impegnano a studiare le motivazioni che hanno portato a fare certe scelte, ne rinvengono le cause, ne valutano la necessità, propongono eventualmente altre possibilità.
La pianificazione linguistica, a volte, risponde anche ad interventi di tipo politico o sociale: si pensi a quando un determinato regime o una forza politica dominante impone specifiche regole sulla maniera di esprimersi.
In questo articolo voglio definire meglio un argomento che, come detto, avevo già accennato: come si evoluta la lingua italiana, nel particolare come dal latino si è arrivati alla nostra lingua romanza.
se pareba boves alba pratalia araba & albo versorio teneba & negro semen seminaba
giovedì 28 dicembre 2023
I codici manoscritti, la stampa, la diffusione dei testi e l'editoria.
Il verbo latino ēdo, ēdis, edidi, editum, ēdĕre ha vari significati che vanno dal mandare fuori, in senso generico, al produrre, al partorire, al divulgare, diffondere.
Certo, ai tempi di Cicerone, pubblicare e dunque trasmettere un proprio scritto aveva un significato diverso da quello che conosciamo noi. Il testo doveva essere ricopiato tante volte quanti erano i libri, i volumina, che si desiderava ottenere. Le difficoltà che questo tipo di edizione incontrava erano molteplici, dal reperimento dei materiali da utilizzare come supporto, papiro o pergamena, a quello delle persone che fisicamente erano preposte a copiare. Non esistevano editori veri e propri, la pubblicazione, cioè la condivisione degli scritti, era attività favorita dall’entusiasmo operoso di alcuni animatori culturali, come nel caso di Attico, cui Cicerone indirizzò le sue epistulae (Epistulae ad Atticum). Possiamo ritenere Tito Pomponio, detto Attico per via della sua passione per la cultura greca e la permanenza ad Atene, il primo editore, dato che, grazie ad una vasta schiera di copisti e lettori al suo servizio, pubblicò numerosi libri latini e greci e le opere di Cicerone.
Nel Medioevo, l'attività di redazione delle copie dei manoscritti (manu scriptus, scritto a mano), testi antichi e classici era affidata al lavoro degli amanuensi, monaci a cui era commissionato la preziosa mansione di trasmissione delle opere dei classici. Essi si impegnavano alacremente nei locali adibiti alla copiatura, gli scriptoria. Il lavoro svolto nello scriptorium comprendeva anche tutta la cura necessaria alla conservazione del manoscritto, il codex. I libri così ottenuti dalla copiatura venivano inizialmente custoditi in contenitori atti all'uso; più tardi nacquero le biblioteche.
I codici manoscritti venivavo ricopiati sulla pergamena, fatta di pelle di capra o di pecora, materiale che aveva sostituito il papiro, più fragile e più difficile da reperire.
Gli scriptoria medievali ebbero una fondamentale importanza per la conservazione delle grandi opere del passato, dell'antichità classica.
In questa fase di conservazione e trasmissione dei testi giocarono un ruolo molto importante le abbazie (Montecassino, Bobbio, Casamari ...).
Abbazia di Casamari |
venerdì 3 novembre 2023
Mente, fisico e natura
venerdì 27 ottobre 2023
Scrivere per campare
Scrivere per campare
Chi è lo scrittore fantasma?
Un ghostwriter è la persona che, per così dire, ti impresta la penna.
Non è corretto quindi dire che lo scrittore fantasma ti presta la penna; egli ti permette di far credere tuo ciò che tuo, in effetti, non è.
E cosa può scrivere un ghostwriter?
Non ci sono limiti: articoli, romanzi, saggi, recensioni, addirittura tesi di laurea, discorsi politici, interventi destinati alla televisione. Insomma il ghost può scrivere tutto. Di certo sarà necessario che egli s'informi prima su argomenti che non padroneggia, su situazioni che non conosce.
Si potrebbe pensare che lo scrittore fantasma sia un autore di seconda scelta, perché scrive per campare e si adatta a tutto.
Si potrebbe credere che il ghostwriter sia un romanziere che non ce l'ha fatta.
È vero semmai il contrario: questo professionista deve accomodare la sua penna alle esigenze del cliente. Deve scrivere con il suo (del cliente) animo e con il suo (del cliente) cervello.
Pensate che sia facile tutto ciò?
Occorre poi considerare il lato affettivo della questione: sapete com'è difficile partorire un brano e darlo subito dopo in adozione?
È un po' come sentire quel tuo pezzo (nel senso lato ma anche preciso del termine), che rimane sempre in fondo al tuo cuore, anche se magari sai bene che, in fondo, è solo la descrizione meticolosa delle istruzioni da seguire, per montare una motozappa a benzina!
#ghostwriter
Il vento
Il vento è come la rabbia,
giovedì 12 ottobre 2023
Consapevolezze
Consapevolezze
Potrei rubare i momenti,
ma gli attimi non si prendono, si sorprendono.
Potrei strofinare il tempo,
ma l'età non si stropiccia, si accompagna.
Potrei respirare il nuovo,
se solo la novità mi lusingasse ancora.
Eccomi ad accettare finalmente le mie insicurezze,
a farne sfoggio,
come se fossero la mia bandiera.
Esibisco le incertezze, mostro i miei dolori.
Non li nascondo, quasi me ne vanto.
Ora posso, adesso ho l'età.
giovedì 25 agosto 2022
L'incipit
Importanza dell'incipit
Incipio in latino significa intraprendo, comincio; nell'uso filologico con la parola incipit, terza persona singolare del verbo incipio appunto, s'intende l'inizio di un testo, in riferimento alla prima parola o alle prime parole.
Volendo estendere il significato del termine, in relazione al campo editoriale, si può affermare che l'incipit non è solo limitato alla parola o alla frase iniziali di un testo, una pubblicazione, ma esso abbraccia tutto un intero brano o paragrafo.
Gli autori lo sanno, l'incipit è fondamentale come un asso nella manica.
Eh, va bene, ma perché dare tanta importanza all'inizio?
Esso è la nostra presentazione!
Prima di acquistare una copia cartacea di un libro, qual è la cosa che facciamo, oltre a dare uno sguardo alla copertina e alla quarta di copertina? Senza dubbio è quella di leggere l'overture del romanzo.
Allo stesso modo, prima di scaricare una copia digitale, clicchiamo sul pulsante "leggi l'estratto" e cerchiamo di capire se quello è un e-book che fa per noi. Per questi motivi l'inizio di un romanzo non deve mai deludere le aspettative del lettore: egli lo abbandonerebbe prima ancora di averlo acquistato.
Con la lettura del prologo, il lettore inizia ad avvicinarsi all'autore, ne palpa l'essenza, ne immagina i contenuti, ne studia la forma. Chi legge è già in grado di capire se quella storia potrà appassionarlo, se la forma narrativa si addice alle aspettative che nutre in quel momento.
L'incipit dunque dev'essere accattivante, seducente; dev'essere inoltre preciso nella resa sintattica, non che il resto non debba esserlo, s'intende, ma, piazzare un refuso, o peggio ancora un errore di ortografia, proprio all'inizio, non è che faccia fare una bella figura all'intero libro.
Non ha importanza cosa scriverete nel prologo: una descrizione? Un dialogo? Una riflessione? Con qualunque cosa abbiate deciso di iniziare, voi dovete riporre in essa tutta la vostra attenzione!
Buon lavoro.
Concetta D'Orazio
mercoledì 24 agosto 2022
Editing e correzione bozze: differenze
domenica 20 marzo 2022
Abruzzese, διάλεκτος, lingua
Il greco, il latino e l'abruzzese.
L'abruzzese è davvero un dialetto?
Possiamo accostarlo ad un idioma completo ed indipendente?
Per prima cosa diamo corretta interpretazione dei termini. Le lingue classiche, come sempre, vengono in nostro aiuto grazie alla comune origine indoeuropea.
Il dialetto è un modo di esprimersi "usuale", comprensibile da tutti coloro che abitano in quel territorio.
Esiste un dialectus anche in lingua latina, con lo stesso significato.
La koiné è la modalità di comunicazione, vale a dire la lingua, utilizzata da un vasto numero di persone, insomma l'idioma considerato universale. Generalmente tale idioma si è formato da un dialetto "principale", cioè più diffuso e/o più conosciuto che, per così dire, prende il sopravvento rispetto agli altri.
Γλῶσσα κοινὴ, quindi, è lo strumento di comunicazione utilizzato da un nutrito gruppo di persone, generalmente una popolazione stanziata su un determinato territorio. Esse, per comprendere e farsi comprendere, adoperano un registro comune che risponde a dettami e norme precise, in fatto di grammatica, lessico, pronuncia, utilizzo dei termini.
Ciò che caratterizza una lingua, dunque, è proprio il fatto che coloro che la utilizzano accettano di rispettare determinate regole.
Possiamo dunque argomentare una sostanziale differenza fra γλῶσσα κοινὴ, quella che in latino diventa communis lingua, e che in italiano ci limitiamo a definire lingua, e il dialetto.
Quest'ultimo appare limitato ad una zona circoscritta, in termini di spazio geografico, utilizzato da un nucleo di persone ivi stanziate.
È importante sottolineare che il dialetto non si distacca dalla lingua ufficiale, ma ne è una "propaggine" e come tale differisce solo in alcuni minimi aspetti, quali la pronuncia, la cadenza che produce la cosiddetta inflessione o accento, al limite l'utilizzo di qualche parola caratteristica.
Ma procediamo ancora nell'argomentazione di prima.
Analizzando la parola διάλεκτος con maggiore precisione, vediamo che essa deriva dall'unione di διά e di λέγομαι.
La preposizione διά ha già in sé insito un significato di movimento, dunque contiene un'immagine di un luogo non predefinito ma in costante divenire. Il movimento "attraverso per" ci fa ragionare sulla natura di quanto intendiamo con il nostro dialetto, in lingua italiana.
Dunque διά λέγομαι equivale a "dico attraverso": il verbo indica la parlata in cambiamento, o meglio il cambiamento della parlata, attraverso lo spostamento fisico da un luogo ad un altro.
Possiamo affermare che il dialetto è una variazione territoriale della lingua comune ed ufficiale, che non differisce da essa in maniera considerevole, con variazioni grammaticali, ad esempio con differente utilizzo delle parole, con l'utilizzo o meno di determinati modi o tempi verbali.
Arriviamo ora a ciò che ha mosso all'origine questo mio studio.
Quanto l'abruzzese può definirsi lingua e quanto invece dialetto?
Sulla differenza, in italiano, fra lingua e dialetto molto è stato detto e scritto. E ancora gli studi sono vivaci.
Ripeto che una lingua per essere riconosciuta come tale, da tante persone, deve avere insito in sé un meccanismo di comunicazione che si basa su norme determinate che la fanno diversificare da altri idiomi.
Tali norme riguardano la sfera sintattico-grammaticale, quella semantica, quella della pronuncia e quella della esperienza nel tempo, che porta all'evolversi di diversi termini o modi di dire.
L'abruzzese ha una grammatica che lo rende differente dall'italiano, risponde a regole fonetiche specifiche e vanta una lunga storia che ha visto questa parlata mutare nel tempo.
Persino la costruzione delle varie proposizioni spesso differisce dall'italiano.
Faccio qui solo qualche esempio.
La proposizione interrogativa, in abruzzese è spesso introdotta dal "che".
Che me le se preparate chela carte? - Me l'hai preparata quella carta?
Il condizionale è pressoché inesistente.
La proposizione ipotetica, nelle sue valenze della possibilità e dell'irrealtà, infatti, trova accostati nella protasi e nell'apodosi due congiuntivi, in vece di un congiuntivo ed un condizionale.
Le facesse, se putesse. - Lo farei, se potessi.
Non esiste il futuro.
Nell'abruzzese ci sono alcuni suoni che non troviamo in lingua italiana: tra questi, quello più comune, è la pronuncia sct del binomio consonantico st.
La strade = (pronuncia) la sctrade.
Altra differenza con la lingua italiana è la presenza della cosiddetta vocale finale (o anche intermedia) indistinta. La vocale c'è ma non si sente. (Ricordo che, per mia comodità l'ho indicata con un colore diverso da quello del resto della parola, evitando di ricorrere al simbolo ufficiale).
La case = (pronuncia) la cas.
Non mi dilungo troppo con gli esempi. Concludo dicendo che l'abruzzese non può essere considerato come dialetto, vale a dire come una variante territoriale della lingua principale, cioè dell'italiano.
Possiamo dunque classificarlo come lingua.
Naturalmente si continuerà a definirlo dialetto, sia per comodità, e sia perché, per assurgere al ruolo (titolo?) di lingua, è necessario anche il riconoscimento ufficiale da parte di comunità scientifiche.
Azzarderei affermare che proprio all'interno della lingua abruzzese si sono diversificate varie parlate, differenti soprattutto nel suono, ma non solo.
Queste numerose parlate che esauriscono la loro valenza nell'ambito di realtà territoriali circoscritte potrebbero quasi essere assimilate a dialetti: dialetti derivanti dalla lingua abruzzese.
Concetta D'Orazio