martedì 3 giugno 2014

La -d- eufonica, la sua triste sorte





Non aspetto altro, sono pronta a liberarla. 
Ogni volta che mi si presenta l'occasione, io la cerco, la raccolgo e la lascio andare. 
E preserverò per sempre la mia amata eufonica, sì, proprio quella - d - che sguscia, che mi scappa quando la penna vorrebbe scivolare nel punto in cui la vocale di prima dà il fiato su quella che viene subito dopo.
Ed ecco che corre in aiuto della lingua, per non farla affogare nel turbine aperto, la mia - d - eufonica. 
La mia amata - d - che mi suona in armonia e dirime l'insidia delle vocali.

Appartengo a quel gruppo ormai ristretto di persone che prediligono l'uso di questa compagna fidata che, frapponendosi tra una vocale ed un'altra, mi lascia quella breve pausa di assenso al respiro. Mi permette di non penare con il fiato lungo ma di temporeggiare, inspirando ed espirando.

Non a caso sarà stata definita eufonica, un aiuto alla piacevole riuscita del suono che, grazie ad essa, alla mia - d -, non si intreccia scivolando ma si determina musicando l'interruzione.
L'eufonia, m'insegnarono, sottolinea proprio quella dolce sonorità di tono che è sì piacevole all'udito, derivando il termine dal greco ϕωνή, la voce appunto, annunziato dal prefisso εὖ (bene). Buona voce insomma, buona musica, buona melodia.

Mi rammarico spesso di quanto il nostro tempo ingrato e gretto, che esige fatti concreti e parole poche, proceda in avanti, dimenticando ed anzi invogliando all'abbandono di quelle delicatezze che hanno fatto della nostra lingua la storia e ne hanno sottolineato il fascino.

In tanti consigliano un uso limitato della - d - eufonica. Su questo sarei anche d'accordo, almeno fino a quando l'eccesso potrebbe far cadere nella bruttura opposta, vale a dire la cacofonia.
Non mi sembra però corretto, come alcuni fanno, incitare verso il lento allontanamento e verso la desuetudine di una tale foggia  che, reputo, di raffinatezza.

Ognuno è libero di scegliere la musicalità della penna.
Ed io scelgo la mia.
Viva la - d - eufonica!





4 commenti:

  1. Cara Concetta, a leggere la tua prosa, così forbita, così melodiosa, verrebbe quasi voglia di essere d'accordo con te. Io invece non lo sono, sono fra quelli che ha decretato la fine di quella d preceduta da vocale, se non in casi limitati, come davanti alla stessa vocale, o in casi conclamati, come ad esempio. A me quella d, più che eufonica pare un inciampo. Preferisco scrivere "a essere" che "ad essere", e così via. Mi scorre via meglio il discorso, e poi così mi hanno insegnato... non a scuola, come mi pare tu riferisca, ma nelle redazioni dei giornali e anche i manuali di stile. Lasciamo quindi che i due usi convivano, poiché la d eufonica, seppure messa al bando, non è (ancora) considerata un errore grammaticale. Un saluto.

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  2. L'orecchio coglie la melodia in modo personale, Pierluigi: ciò che a te pare un inciampo, a me sembra invece sostegno a continuare, ausilio a non cadere.
    Seppure i prontuari di stile incoraggino ad eliminare la d, io preferisco tenermela. Nella redazione di articoli di giornale, dove il testo deve essere snello e funzionale all'uso, si può tagliarla con più indifferenza, la dolce eufonica. Negli altri casi perché dovremmo sacrificarla? Ognuno faccia come meglio "sente": dici bene, i due usi possono benissimo convivere. Grazie per il l'intervento. Un caro saluto anche a te.

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  3. Anche a me piace, sia pure con parsimonia e con l'orecchio attento al suono, mantenere l'uso della d eufonica. Pare addirittura che alcuni editori rifiutino un racconto o un romanzo se trovano le d eufoniche. Francamente mi sembra non solo stupido, ma anche sintomo di una certa sciatteria, C'è un solo caso in cui la d eufonica mi sembra fuori posto e anche poco "eufonica": la d dopo la o (od).

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  4. Sono d'accordo con te sulla questione della "d" dopo la "o", Sergio. Grazie per l'intervento.

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Scrivimi, leggerò con piacere. Grazie