mercoledì 9 aprile 2014

La solitudine policroma delle parole








Nel passaggio dalla versione originaria al volgare, e quindi all'italiano, la lingua latina sembra aver perso la primaria abbondanza di sfumature del senso da attribuire ai singoli termini.
La natura variegata delle possibilità di significato ha subito sicuramente una limitazione, nel passaggio all’idioma neolatino.

Tale limitazione delle accezioni delle parole prosegue di pari passo con l’”ammodernamento” della lingua, quasi che il bisogno odierno di espressione possa tendere all’essenzialità della parola.
La lingua italiana, infatti, quella più antica e oggi vista come fuori moda e disusata, conserva ancora, nella sua purezza, le caratteristiche sfumature del suo illustre antenato, il latino appunto.

Oggi, però, non si avverte più il bisogno di indicare un oggetto, un’azione, un’emozione attraverso un vocabolo, o una combinazione di vocaboli, che meglio possa caratterizzarli.
L’odierno ciao, tanto per fare qualche esempio, ha quasi sostituito del tutto, nel gergo dei più giovani, i vari buongiorno, buonasera, arrivederci, bentrovato,  benvenuto.
Ecco, per salutare una persona che va, che arriva, che si attarda con l’orario o che è mattiniera, è sufficiente pronunciare quattro lettere, ciao.
Anche i verbi che indicano un’azione di spostamento da un luogo ad un altro, da una all’altra condizione, si sono, per così dire, ridotti o sono confluiti nel semplice e globale andare. Oggi si va al lavoro, si va a pranzo e cena, si va dal dentista, si va in ritardo all’appuntamento, laddove ieri ci si recava al lavoro o ci si appropinquava al desco per la cena. Poteva accadere, allora, che ci dovesse avviare o che ci si attardasse, si indugiasse, si procrastinasse.

E precedentemente, le fantasie semantiche si adattavano ancora di più al bisogno. Prima di scegliere quale verbo potesse esprimere lo spostamento che si voleva notificare, in latino, occorreva analizzare pure da che verso procedesse tale movimento. Le preposizioni, ad esempio, puntualizzavano il senso del verbo. Così veniva utilizzato abeo per indicare un allontanamento da un determinato punto. Se invece si voleva sottolineare un movimento che portava all’interno di un luogo, la forma più adatta era quella data dal verbo ineo. Il verbo eo e i suoi composti non erano i soli a poter specificare l’azione del muoversi. Le possibilità erano infinite. Così ad esempio, il verbo digredior designava una separazione non solo fisica ma anche intellettuale da un determinato punto: da cui la nostra digressione. Si utilizzava dispereo per indicare un decadimento verso la rovina, quella che noi chiamiamo disperazione.

In conclusione, oggi siamo più moderni, più sbrigativi, quasi che antichità si identifichi con lunghezza e noia e modernità con brevità e velocità.
Mi chiedo spesso come sia possibile rinunciare così a cuor leggero alla gamma infinita di tonalità semantiche che le parole racchiudono in sé.

Per questo motivo mi piace spesso ricordare la policromia non solo della lingua italiana un po’ datata ma addirittura quella del latino.
Mi rendo conto, tuttavia, che l’apprezzamento di quella policromia è destinato inevitabilmente ad essere goduto in solitudine.


Concetta D’Orazio











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