lunedì 23 giugno 2014

Roccamorice - Eremo di San Bartolomeo in Legio ed Eremo di Santo Spirito a Majella

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 ...vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
 (Dante, Inferno, canto iii)



Dante lo classificava fra gli ignavi e lo metteva tra coloro che in vita non furono peccatori ma nemmeno si distinsero per opere buone. Molti identificarono questo personaggio in Pietro da Morrone, l'eremita che divenne papa, con il nome Celestino V.
Al soglio pontificio preferì rinunciare solo dopo cinque mesi.

Penso che Pietro fosse tutto tranne che un ignavo, nel mentre mi addentro lungo quel sentiero. Dante non me ne voglia.
Gli scarponcini da trekking non fanno avvertire la durezza del terreno che si fa morbida nelle zone tenute bagnate dall'umidità ristagnante negli anfratti più nascosti al sole. Non doveva essere così per i piedi non protetti dell'anacoreta.
Il sentiero inizia in maniera pressoché lineare ma la garanzia che rimanga tale per tutto il tragitto si rivela ben presto un'utopia.
Il camminamento si nasconde tra l'erba, i rovi. La natura circostante sembra prendere il sopravvento, abbracciandoci con i suoi colori, con i profumi e tenendoci compagnia con il rumore di qualche animale che si nasconde ai lati della stradina naturale che diventa sempre più stretta.



In momenti come questi la mente pare trovare requie, troppo concentrata ad estasiarsi davanti al giallo proprio giallo, al rosso proprio rosso e al bianco senza macchia.


Andiamo giù. Come scendeva Celestino, come scendevano i giovani che avevano deciso di seguire quel mistico, poco avvezzo ai contatti del mondo, bisognoso di congiungersi al cielo attraverso la solitudine.


Celestino non poteva essere un ignavo. Continuo a ripetermelo, mente entriamo nella roccia, respirandone la maestosità e palpandone la durezza. Pietro aveva scelto questo luogo come suo rifugio ascetico, uno dei tanti che lui abitò.
Il sentiero dentro la roccia è scalfito sul fianco della montagna, divenendone un'arteria quasi naturale.





E la pietra accoglie la vita dell'essere laconico.


La statua di San Bartolomeo custodisce quel tempo di niente e quel rumore dell'ascesi.




Sono entrata nell'anima della montagna.
Ripercorrere il cammino all'indietro è ora duro e non solo per i muscoli delle mie gambe.
Si torna al mondo, dopo aver saggiato quell'atmosfera rarefatta di pensiero e di silenzio.

Il nome di Pietro da Morrone è legato agli anfratti più nascosti della nostra roccia.
Saliamo, a poca distanza.
Anche Santo Spirito originariamente nacque come eremo, poi divenuto complesso monastico.
La montagna trattiene pure questo meraviglioso luogo di culto, avvinghiandolo e fermandolo fra le braccia robuste di pietra.




Si alzano gli occhi e nella roccia sembrano scorrere le immagini della vita dei monaci celestini che lì trascorrevano i giorni della loro spirituale esistenza, nella congregazione fondata dallo stesso Pietro da Morrone ed approvata nel 1263 da papa Urbano IV.
Visitiamo i luoghi di quel fermento religioso. Assaporiamo l'umidità del corridoio a piano terra. Infine ci innalziamo alle pendici del monte che ora ci accalda con la sua temperatura, ora ci rinfresca con la brezza.



Di nuovo a fatica occorre staccarsi da quella pietra benedetta, tornando a far le cose del mondo.


L'eremo di San Bartolomeo in Legio e la Badia di Santo Spirito a Majella si trovano nel comune di Roccamorice (PE).

Concetta D'Orazio



















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