domenica 26 ottobre 2014

Tronchetto di Natale al cioccolato



"Ora che ci penso, mi è venuta fame. I grandi portano buste zeppe di roba da mangiare. Dobbiamo arrivare prima sotto la quercia, poi ci daranno qualcosa.
Sbircio tra la trasparenza di quei sacchetti, vedo dolci, biscotti, caramelle, cioccolata, pizzelle e anche qualche panino per i più affamati."
(Da Riprendiamoci il Natale, dicembre 2013) 




***

Quel cielo già scuro, prima delle 17,00, quell'aria frescolina, non ancora troppo gelida.
In questo periodo mi piace osservare i movimenti della giornata che volge al termine con velocità, quasi avesse fretta di guardare tutti rifugiarsi nelle case, a godere di bevande calde, del tepore di carezze e confidenze che l'afa estiva ha costretto troppe volte a sacrificare, in nome di ore trascorse all'esterno.

In pomeriggi come questi, ripeto che è troppo presto per pensare al Natale, che non ha senso, che faccio pensieri precoci. 
Me lo dico che manca ancora molto al 25 dicembre, ma è inutile. 
Finisco per arrendermi.

Per darmi un contegno, non ne parlo con nessuno (salvo scriverlo nel blog! ndr.), limitandomi a giustificare i miei prematuri esperimenti nataliferi con affermazioni del tipo: «Faccio delle prove!»,«Mi porto avanti con il lavoro», «Cosa sto facendo? Io? Ma, niente, giocavo...». 
Mi schermisco così, di fronte alle risatine sornione dei famigliari.

Dite la verità, amici nataliferi: a noi cosa importa?
Al lavoro. 
Oggi vi presento un classico: il tronchetto, ricoperto di cioccolato. A questo ho accompagnato delle decorazioni in pasta di zucchero: alberelli di Natale. 
La preparazione richiede un po' di tempo ma non è molto difficoltosa.





Ingredienti 

per il Pan di Spagna

6 uova
160 gr. di zucchero
160 gr. di farina
1 bustina di lievito per dolci
1 pizzico di sale

per la crema pasticcera (o Chantilly)

6 tuorli
200 gr di zucchero
100 gr. di farina
800 ml. di latte
buccia grattugiata i limone
Per la crema Chantilly, dovrete aggiungere alcuni cucchiai di panna montata (4 o 5 a seconda del gusto)

per la copertura/decorazione

4 quadratoni di cioccolato fondente
100 ml. di panna da montare

Preparazione


Leggete qui la ricetta e la composizione del Pan di Spagna
Una volta realizzato l'impasto, va messo in una teglia rettangolare, onde ottenere una base da poter arrotolare.

Preparate la crema pasticcera,  sbattendo dapprima i tuorli con metà dello zucchero, aggiungendo quindi la farina. 
Scaldate il latte in un pentolino con l’altra metà dello zucchero ed il limone. 
Quando il latte inizierà l'ebollizione, occorrerà unire gli altri ingredienti e continuare a scaldare sul fornello, girando ininterrottamente fino a che il composto non risulterà cremoso. 
Togliete dal fuoco e lasciate raffreddare. 
Nel caso si volesse ottenere un effetto "Chantilly", basterà unire alla crema alcuni cucchiai di panna precedentemente montata. 
Il gusto della crema, naturalmente, sarà a vostra discrezione.

Ora dovete spalmare la crema sull'unica fetta di Pan di Spagna rettangolare. 
Arrotolate e lasciate riposare per una mezz'oretta in frigo, avvolgendo il tutto con una pellicola da cucina.

Nel frattempo preparate la glassa per la copertura: sciogliete il cioccolato fondente a bagnomaria. 
Montate la panna e aggiungete al cioccolato, mescolando con molta cura. Potete montarne un po' di più ed utilizzarla eventualmente in aggiunta alla crema pasticcera (vedi sopra).

Prendete il dolce dal frigo: potete anche tagliarlo a metà ed attaccare una parte all'altra, in obliquo, come nella foto, per dare l'aspetto di un tronco.

Spremete la glassa sopra ed attorno ai tronchi, aiutandovi con un sac à poche
Passate infine una forchetta e "strigliate" la glassa, in maniera da ottenere l'effetto-corteccia.

Fate raffreddare in frigo per una mezz'ora, prima di servire.








venerdì 24 ottobre 2014

Autori a confronto - Sulla stessa barca






Sullo stesso articolo, hanno scritto Ant Sacco, Roberto Bonfanti, Mario Pacchiarotti e Concetta D'Orazio, nei rispettivi blog: 






Sulla stessa barca, breve storia in itinere di una collaborazione fra autori, un titolo che è garanzia di sintesi e di continuità.

Sì, perché è proprio così che definirei questa nostra avventura, una iniziativa volta al reciproco aiuto, allo scambio di informazioni e alla produzione di “materiale scrittorio”, il tutto concentrato in pochi passaggi di progettazione e, lo spero vivamente, destinato a continuare.

Iniziammo per caso (si dice sempre così, ndr.), dopo aver scambiato le solite sedici chiacchiere virtuali, quattro a ciascuno, ed aver espresso le nostre perplessità sulle consuete argomentazioni che animano, ormai da anni, i tavoli del noto locale in centro, il Bar dell’auto-pubblicazione: impaginazione, editing, promozione.

Abbiamo pensato che, se è vero che due più due è uguale a quattro, sarà anche vero che l’azione comunitaria porta vantaggi migliori dell’intraprendenza personale.  
Così, tra un abboccamento in chat e un altro, abbiamo iniziato a programmare qualche azione che ci vedesse impegnati in contemporanea. La prima che ci è venuta in mente, come è naturale, è stata quella di scrivere articoli a più mani, o più tastiere.

Dalla nostra collaborazione sono nati brani inerenti al Self-Publishing, scritti insieme o anche redatti singolarmente e poi condivisi in maniera vicendevole, come in questo caso.
E così, dopo diversi mesi, non solo siamo ancora qui, in quattro nella stessa iniziativa, ma possiamo dire che: ci abbiamo preso gusto!

Questo gioco di squadra si è rivelato interessante e divertente, a tal punto che abbiamo deciso di fare un esperimento singolare: far ritrovare alcuni personaggi dei nostri rispettivi libri, riuniti in un posto sconosciuto, a costruire una storia altra che non sappiamo quale esito potrà avere ma sicuramente, a quanto abbiamo compreso dalla redazione dei primi due capitoli, si sta dimostrando esercizio di scrittura molto valido e coinvolgente.

Vi chiederete: come funziona la collaborazione fra quattro teste pensanti e scriventi? E soprattutto: riuscite ad essere sempre d’accordo su tutto?

Quattro persone hanno indubbiamente modi differenti di approcciarsi alle varie questioni. È naturale: con il tempo potrebbero nascere contrasti interni al nostro piccolo gruppo. Ne siamo consapevoli ma, lo dico con certezza, stiamo cercando di trasformare questo eventuale punto debole in sicuro punto di forza: il lavoro in quattro si rivela fonte di ricchezza, in termini di sostegno, scambio di notizie ed informazioni, condivisione dei risultati.

L’esperienza del Self-Publishing è recente, inutile ribadirlo. In questo caos primordiale fatto di notizie alquanto confuse, di esperienze personali deboli, a causa della poca dimestichezza con taluni ambienti, e delle esigue disposizioni di tempo ed energie, quanta tangibile competizione avvertiamo ogni giorno?
Noi vogliamo provare a fare un po’ al contrario, cioè trasformare la competizione in gratificante collaborazione!

Ringrazio i miei compagni di avventura, Antonella, Roberto e Mario: ho avuto la fortuna di incontrare persone motivate, precise, tenaci al punto giusto.
Stiamo tentando di realizzare un progetto comune e ci impegniamo non soltanto a tener fede ai compiti di ognuno e alle scadenze ma soprattutto ad “aspettarci”, a dirci “va bene, dai rimandiamo a domani”. 
La fiscalità non la conosciamo!

«È pronto il mio articolo! Vi piace?»
«Qual è l’ultimo argomento che avevamo stabilito? Non ricordo…»
«Ragazzi, scusate, non ce l’ho fatta. Mi aspettate?»

Il confronto è quotidiano e lo scambio di impressioni è garantito.
Prima che quattro persone che scrivono, mi piace pensare di essere diventati quattro amici.



Concetta D’Orazio

giovedì 23 ottobre 2014

Pizza-dolce sottile, alla crusca di avena e alla crusca di grano



E questo non si può e quello è troppo grasso. I biscotti hanno lo zucchero. I ciambelloni sono troppo ciambellosi.

Già le diete ipocaloriche mettono di cattivo umore, immaginate come possa essere pesante iniziare la giornata senza poter disporre di qualche cibo dolce, magari da affiancare al caffè o da inzuppare nel latte (totalmente scremato!). 

Vi hanno consigliato di consumare crusca. Sì, va bene ma che soddisfazioni può dare?
Insomma, i primi umori del mattino inevitabilmente si rifletteranno su tutte le azioni del giorno.

Avete deciso di fare a meno della colazione, accontentandovi del solo caffè? Non devo dirvelo io che questo comportamento è sicuramente sbagliato. La fame vi consumerà le energie a poco a poco, fino a che arriverà, a metà mattina, il momento in cui il troppo appetito potrebbe portarvi a fare scelte inconsulte di cibo, mandando all'aria tutti i buoni propositi per la dieta.

Esistono soluzioni? Certo ma spesso sono o troppo costose (preparati industriali) o troppo complicate da realizzare casa.
Ogni tanto, però, capita di fare  scoperte con poco.
È questo è il caso di questa pizzettina dolce, davvero di semplice e veloce realizzazione, ottima per accompagnare colazioni e merende.

C. D'Orazio





Ingredienti

3 cucchiai di crusca di avena
3 cucchiai di crusca di grano
3 cucchiai di latte scremato in polvere
1 uovo grande + un tuorlo
1 bustina di vanillina
dolcificante a vostro piacimento (non posso dare la dose esatta che, come sapete, dipende dal tipo edulcorante che utilizzate. Per aiutarvi, però, vi consiglio di metterne tanto quanto ne usereste per 3 caffè).

Preparazione

In una terrina mettere la crusca (grano e avena) e le uova. Iniziare ad impastare, quini aggiungere il late scremato e la vanillina. Foderare un piccolo stampo (15 cm) con carta da forno. 
Disporre il preparato nello stampo ed infornare per una decina di minuti a forno statico pre-riscaldato a 120°.
Togliere dal forno e cospargere di (poco!) zucchero a velo.

P.S. La marmellata che vedete in foto è solo decorativa. In dieta è vietata!






domenica 19 ottobre 2014

Le parole



Le parole sono importanti.
C'è chi sta molto attento alle parole: le osserva, le confronta, ne calcola la lunghezza, le modalità e le date di espressione.

Le parole hanno tempi inconfutabili.
Per ognuna di esse c'è un timbro cronologico, un momento.

Le parole tutte dovrebbero essere singolari e genuine.
Ci sono parole che arrivano prima e parole che qualcuno legge come prodotti goffi di un "tempo dopo", conseguenze di apocrife sciatterie.

Concetta D'Orazio



Un ombrello per gli occhi





Sono come respiri addomesticati, questi occhi che guardano solo là, dove sanno che possono dirigersi.

Si fermano a quei limiti. Non si azzardano a continuare oltre il divieto.

Non sono sempre bravi, però.

Talora lo sguardo vuole farsi audace.
O almeno questa è la parvenza che cerca di dare.
Si allontana, deviando e arrischiando a far perdere le tracce.
Sono brava a seguirlo, ma il tentativo di controllo non sempre mi riesce.

Mi arrabbio per questo. Li blocco, li fermo.
Li imprigiono, i miei occhi.
Li lascio fermi, cercando di supplire con la mente a quella costrizione.
Ed è allora, quando il pensiero si sostituisce alla vista, che gli orizzonti si allontanano.
Le distanze si annullano e le idee si sovrappongono.

Ho bisogno di un riparo, di un ombrello che possa fornire protezione da quella pioggia di suggestioni, di rimproveri.

Di parole lasciate in decantazione per troppo tempo.

Potrebbero piovere all'improvviso e generare pozzanghere pericolose.
Per questo sto attenta a fare previsioni.
Curo. Controllo. E arrangio ipotetiche soluzioni.

Fino a quando, nei casi peggiori, apro il parapioggia.


Concetta D'Orazio

venerdì 17 ottobre 2014

Le dita dei tuoi anni








Quelle dita: ci sono tutti i tuoi anni, dietro, sopra, sotto.
Si raggrinziscono, quando tu comandi loro qualcosa.

Ogni cucitura è l'immagine delle storie che sono passate attraverso le mani che le contengono.
Quanti nodi che le decorano, come gli intrecci che hanno sconvolto i tuoi tempi.

Sono forti, quelle dita. Sono agili. 
A volte si strofinano tra loro, in silenzio, quasi a darsi coraggio. Come se volessero rinnovare il patto di fratellanza che stipularono all'origine.

Le vorresti più tranquille. 
Te lo ripeti al mattino: si affrettano a ritrovare efficienza, mentre il tuo essere è ancora assonnacchiato.
Te lo ricordi alla sera: aggiustano quel poco ancora che manca. E tu già hai salutato le ore del riposo.

Non rispondono, talora accade. 
Te ne crucci un po', anche se sei consapevole che la loro contestazione è legittima. Non si astengono per capriccio ma per far valere i loro diritti.
E per far sopportare a te tutto il gravame del mondo.

Perché loro, le dita, sono generose.
Le tue.

Concetta D'Orazio

giovedì 9 ottobre 2014

Pandoro con crema al mascarpone


Ci fermiamo davanti casa della zia.
Non è proprio mia zia. Non è nemmeno la zia di mamma o di papà. Non so neppure perché la dobbiamo chiamare così.  Non importa. Basta che sul tavolo della sua sala ci sia tanta roba da mangiare.
Ieri è scesa un po’ di neve ma non ha creato molto impiccio. La strada è pulita. Prima di passare oltre l’inferriata, bisogna suonare il campanellino: gli zii che non sono zii hanno un cane che abbaia molto. Meglio stare attenti. 

(Da, Riprendiamoci il Natale, dicembre 2014)





Un brano che ci riporta indietro nel tempo, quando i sapori erano definiti e precisi. Il Natale nel periodo degli anni '70-80. 
A quei tempi, il pandoro, sulla tavola natalizia, sembrava ancora una alternativa singolare al classico panettone. Noi bambini iniziavamo a preferirlo ma ricordo che gli adulti ci esortavano sempre ad assaggiare anche una fetta di panettone, ché quello sì era il dolce che si doveva mangiare a Natale. 
Che strane raccomandazioni! Fotografie come queste impreziosiscono la mia fantasia dell'infanzia lontana, nei ricordi e nei profumi. Vedo due vassoi, sulla mensa della festa di famiglia per eccellenza, uno con pochi resti del burroso dolce, il pandoro appunto, e l'altro che sembrava rigurgitare, pacioso, grandi fettone di panettone, piene zeppe di uvetta e canditi. 
Come dimenticare queste immagini?


Che poi è questione di gradimento di sapori. Con l'avanzare dell'età, si inizia ad apprezzare anche quel gusto più deciso del panettone. 
E tutto questo è meraviglioso. 
A parte la fine della dieta.

Mentre la storia del panettone vede delle modifiche consistenti nella realizzazione di questo dolce che, nel tempo, ha avuto varie evoluzioni e/o cambiamenti (con o senza uvetta, con cioccolato, con canditi o senza), il pandoro, invece, nel corso degli anni è rimasto sempre uguale. 
Le uniche variazioni nel proporre questo dolce possono consistere nel modo in cui eventualmente farcirlo.

La farcitura con mascarpone è davvero semplicissima. È sufficiente aggiungere alla crema di uova che preparate di solito (esistono anche quelle pronte), un vasetto di 250 gr. di mascarpone. Sbattete bene il tutto ma fatelo delicatamente e state attenti a non esagerare, per evitare che la crema "smonti".
Dopo aver affettato il dolce, spalmate un abbondante strato di crema al mascarpone.
Ho guarnito la sommità del pandoro con noci. 
Prima di consumare il dolce è bene lasciarlo riposare almeno per una mezz'oretta in frigorifero.




mercoledì 8 ottobre 2014

Appena usciamo me le tiro. Le snodo. Le disintegro. Gli specchi non mi piacciono. Li odio.
Con la mano, con velocità, tiro la molla e la faccio partire. Prima una, dopo un’altra.
Ho un piano perfetto. Aspetto che in macchina siano tutti concentrati a guardare la strada. Mi metto sulla destra, mi faccio piccina. Ho il cappello dalla mia parte, nessuno se ne accorgerà. Quando capiranno quel che ho fatto, sarà troppo tardi. A mamma verrà un colpo. Proprio lei che si era impegnata tanto! Le salirà il nervoso ma non potrà dire nulla. Farà finta di niente, per non sfigurare davanti a tutti. (Da Riprendiamoci il Natale, dicembre 2013)





giovedì 2 ottobre 2014

FUORI DAL LIBRO CAPITOLO II – LE STORIE

Questo articolo esce contemporaneamente su quattro blog:


FUORI DAL LIBRO






Capitolo II - Le storie


(Martin) Chiamatemi Martin, Martin Juppiter. Non è il mio vero nome, ma tanto, qui, di vero cosa c'è?



(Iolanda) Martin Juppiter, temo non ci sia nulla di vero qui, hai ragione, noi siamo menzogne calate in questo parco immaginario.

Tu da dove vieni? Come era la tua vita prima di arrivare qui?



(Martin) La mia vita era normale. Cioè non proprio. Stavo bene, la gente comprava i miei libri, c’era Juliette… Accidenti, ma perché sto usando il passato? Questa specie di incubo mi sta facendo impazzire. La mia vita c’è ancora, basta che mi svegli, basta che questa cosa finisca. Lo sentite anche voi, no? Che è solo una sorta di sogno.



(Iolanda) Martin Juppiter, non credo che questo sia un sogno. Ci troviamo in una realtà diversa, certo, ma è pur sempre una realtà. Non ti angosciare, fatti coraggio.



(Antonio) Neanche io penso che sia solo un sogno, anche se tutto è molto strano. Per dire, voi per caso avete appetito?



(Martin) Come potete pensare a una cosa del genere adesso?



(Antonio) Be’, io comincio a sentire un filino di fame. E questo non sembra deporre a favore dell’ipotesi del sogno. Succede solo a me?



(Iolanda) Ora che mi avete liberato dalle catene che mi opprimevano, sento di essere tornata di nuovo alla vita. Antonio, anch'io ho fame, ma cosa potremmo mangiare qui?



(Martin, allargando le braccia) Non vi capisco. siamo in un sogno, o, peggio, in un incubo, se non addirittura in una realtà diversa dalla nostra e voi avete fame? A me si è chiuso lo stomaco.



(Iolanda) Martin, non conosco la tua realtà, così come non capisco quella di ognuno di voi. Il vostro abbigliamento è strano, anche il modo di esprimervi. Il vostro linguaggio è diverso dal mio. Eppure lo comprendo. Cosa ci sta succedendo? E tu, Martin, vuoi provare a spiegarmi a quale realtà appartieni? Cosa fai nella vita? Anche a te piace andare nel bosco a raccogliere bacche per ricavarne tisane? Oppure fai un altro mestiere?



(Martin) Senta signorina, cioè, senti Iolanda, cosa intendi con questi discorsi? Mi sembra che se qui c’è qualcuno di strano quella sei tu, e non tanto per i vestiti.



(Iolanda) Non lo so cosa vuoi dirmi, Martin, mi sento così confusa. Tra voi sono io la persona diversa ma non riesco a rendermi conto di niente. A te non piace andare in giro per i campi a raccogliere le erbe? Fai qualche altro lavoro? Modelli il legno?



(Martin) A raccogliere le erbe? Quando ero bambino mi ha portato mio nonno, una volta. Ma sono caduto in mezzo all’ortica e non ci sono andato più. (Sbuffa) E certo che faccio un altro lavoro. Scrivo. Libri. Perché mi guardi così? (Si volta verso il prof e Antonio a cercare comprensione, poi torna a guardare Iolanda). Libri: sai cosa sono, no?



(Professore) Aspetta Martin, la signorina Iolanda è turbata, credo che i nostri discorsi le siano poco chiari.



(Voce narrante) La giovane rimane immobile. Lo sguardo perso, come se fosse alla ricerca di qualcosa di indefinito.



(Martin, rivolgendosi al prof e accennando con il capo a Iolanda) Non si sarà mica… insomma non sarà sotto l’effetto di qualche roba?



(Antonio) A me pare solo molto confusa. D’altra parte, se questo non è un sogno, o un’allucinazione, se voi siete reali, allora qualcosa di molto strano ci è accaduto. Io sono molto razionale, devo trovare sempre una ragione e un motivo per tutto, vogliamo provare a capire insieme? 

Per cominciare potremmo confrontare le nostre esperienze, da dove veniamo, come è il mondo che conosciamo, così tanto per capire se condividiamo almeno le stesse esperienze generali…



(Professore) Hai ragione, Antonio. Vuoi cominciare tu, Martin?



(Martin) Vengo dalla città di ***, dove sono nato e ho sempre vissuto. Ero nel mio studio, ve l’ho detto, e all’improvviso è sparito tutto, mi sono trovato in un parco, ma non il solito parco con a fianco la solita strada: intorno a me non c’erano che erba e alberi. Mi sono inoltrato lì, del resto ERO lì, che altro potevo fare? Subito dopo ho incontrato il professore e insieme siamo arrivati qui. Per quanto riguarda le mie esperienze ecco: dopo la laurea ho iniziato a pubblicare dei racconti e anche dei romanzi, ma intanto lavoravo, prima come postino e poi come responsabile del reparto romanzi di avventura della libreria Oltrebook; quando un mio libro ha avuto un discreto successo e mi ha fatto guadagnare abbastanza da lasciare l’impiego ho iniziato a dedicarmi solo alla scrittura. Tutto qui. Non c’è mai stato niente di strano nella mia vita, fino ad oggi.



(Professore) Quindi anche tu sei uno scrittore… E cosa scrivi, Martin?



(Martin) Romanzi di avventure, mistery. A volte sono in mostra nelle vetrine delle librerie. Almeno lo erano fino a qualche tempo fa.



(Professore) Romanzi, capisco… Una volta che questa storia sarà finita, avrai un buono spunto per un nuovo libro.



(Voce narrante) La giovane Iolanda è rimasta in silenzio, gli occhi fermi sul viso dei suoi compagni che continuano a parlare. Li ascolta, ma quei discorsi sono incomprensibili per lei. Quella realtà le è ancora più ostile di quanto non lo sia per gli altri tre.



(Iolanda) Perché parlate così? Che significato hanno le vostre parole? Mistery, romanzi, postino? Questo mio sogno mi sta diventando intollerante davvero. 

Perché io sto sognando, non ci sono dubbi.



(Martin, sospirando) Abbiamo stabilito che non è un sogno. (Borbotta fra sé) Forse. O forse no.



(Antonio) Raccontaci di te Iolanda, da dove vieni, cosa fai nella vita, quanti anni hai, forse capiremo il motivo per cui ti sembriamo tanto strani.



(Iolanda) Cosa potrei dirvi di me? Sono una ragazza semplice, mi piace correre nei campi, attraversare i boschi. Lì trovo sempre le mie erbe, quelle che la vecchia mi ha insegnato a separare dalle altre, per preparare i medicamenti. La mia vita era felice. Poi, all'improvviso, sono venuti da me. Non li conoscevo. Mi hanno legata e portata lontano. Mi hanno spinto dentro. Non riesco a ricordare tutto ciò che ho subìto a causa di quelli di cui neppure io conosco il nome. So soltanto che sono stati crudeli con me. I miei capelli... Vedete? Me li hanno tagliati.



(Voce narrante) La giovane si piega sulle ginocchia, inizia a singhiozzare. Con le mani si strofina la testa, come se volesse ritrovare i capelli lunghi di un tempo.



(Professore) Povera ragazza… Visto? Che vi dicevo? Mi sembra evidente che la nostra Iolanda non appartenga al nostro tempo. Ci troviamo in questa strana situazione, noi tre fuori dal nostro contesto, lei addirittura fuori dal suo tempo. Per quanto bizzarro ci possa sembrare, lo dobbiamo accettare, prima lo faremo e prima saremo in grado di capire come uscire da qui, o almeno come comportarci. Forza, Iolanda, calmati adesso, nessuno di noi ti farà del male, e i tuoi capelli ricresceranno. Anzi (parlando fra se), forse c’è un modo per capire da dove, o meglio, da “quando” vieni. (Rivolto a Iolanda) Ti ricordi chi è il pontefice? Sai il nome del Papa che vive a Roma?



(Iolanda) Brunilde mi parlò del pontefice, Bonifazio VIII. La vecchia parlava poco, mi dava solo notizie vere ed importanti. Mi disse del papa, lo ricordo bene.



(Professore) Bonifazio, o Bonifacio VIII… Se non ricordo male è stato uno dei Papi più influenti del medioevo, del 1200 o 1300, credo… quindi, come sospettavo, la nostra signorina Iolanda è un po’ più lontana da casa di tutti noi. Ora capisco meglio anche le sue allusioni alle erbe curative e agli uomini che le volevano fare del male. (rivolgendosi sottovoce agli altri) Mi sa che la ragazza è stata sospettata di stregoneria…



(Martin) Medioevo! La situazione è davvero preoccupante, ancora più di quello che sembrava. Si sono confusi anche i tempi, oltre che i luoghi...



(Iolanda) Io non lo so chi siete, vi prego lasciatemi capire. (sospira e piange)

(Professore) Su, su, Iolanda, non abbatterti! Non ti preoccupare, ci capiamo poco noi in questa situazione, figurati tu. Antonio, tu che ci racconti di te? Mi sembri un uomo dei nostri tempi, vero?



(Antonio) Be’, guardando come siamo vestiti direi di sì, anche se la presenza di Iolanda che sembra provenire da tutt'altra epoca ci potrebbe far supporre che anche noi, per quanto più vicini, potremmo non essere del tutto contemporanei. Basterebbe però che ognuno di noi dicesse che giorno ritenga sia quello di oggi per poterci confrontare con precisione. Tuttavia c’è un piccolo problema, per quanto mi sforzi, io non riesco assolutamente a ricordarlo.



(Iolanda) Io non so dirlo, mi dispiace, ma che importanza ha? L’epoca in cui siamo finiti è senza tempo, senza risposta, né significato. Prima ero confusa ma ora sto cercando di riprendere le forze e la lucidità. Tutto sommato, io adesso sto meglio, sono finalmente libera dalle catene e non vedo più quelle fiamme che fino a poco tempo fa sembravano così vicine. Voi avete idea di cosa possa significare sentire l’aria intorno che si fa via via più calda? L’atmosfera che diventa asfissiante?




(Antonio) Forse Iolanda ha ragione quando dice che questo è un luogo senza tempo, tuttavia io non penso che quanto ci accade sia senza significato. Ho la sensazione di essere qui per un motivo, eppure più mi sforzo di svelare questo mistero, più sembro allontanarmi dalla soluzione…



(Professore) Magari sarebbe meglio accettare questa situazione senza farsi troppe domande sulla natura di questo posto, almeno per il momento. Se c’è un motivo importante per il quale noi, e proprio noi, ci siamo ritrovati qui, forse dipende dalla nostra natura… Iolanda è una ragazza di un altro tempo, esperta di erbe e di pozioni curative, Martin è uno scrittore, come me in fondo. Sono anch’io un letterato, ho pubblicato saggi e romanzi e tengo conferenze sulla scrittura e sull’arte. Che cosa ci accomuna? Tu, Antonio, sei un falegname, giusto? C’è qualcos’altro che ci vuoi raccontare di te? Tanto per capire i legami che ci uniscono...



(Antonio) Oh be’ proprio un falegname forse è troppo, lo faccio per divertimento, non come un vero lavoro, da quando sono andato in pensione. Mi piace lavorare il legno, è una materia viva, quasi ti parla, non puoi semplicemente piegarla alla tua volontà, devi studiarlo, capirlo e solo dopo puoi cominciare a tagliare, piallare, dipingere. Forse hai ragione credo di essere diventato un falegname…



(Iolanda) Antonio, come sei arrivato qui? Mi sembra di conoscerti ma non riesco a ricordare dove e quando ti ho incontrato. Forse, in realtà, non ci siamo mai visti ma ci sentiamo vicini per altri motivi? Che strano destino il nostro.



(Antonio) Per me è tutto confuso. Anche io sono certo di averti già incontrato, appena ti ho visto mi è venuto alla mente un ricordo di noi due persi in questa nebbia. E infatti l’ho detto, è la seconda volta che ti incontro, e conoscevo anche il nome. Ma ora in questo parco la nebbia si è almeno un po’ diradata, mentre quella nella mia mente sembra infittirsi. Anche i ricordi, anche i ricordi si intrecciano. Sono un falegname, lo so, ricordo gli strumenti e il profumo del legno, ma altri ricordi confusi vengono a galla, che non so neanche se siano i miei.



(Iolanda) In questo momento non credo abbia importanza riuscire a capire dove ci siamo già conosciuti, Antonio. Ora abbiamo bisogno tutti di trovare il modo di uscire da qui. Non lo pensate anche voi, Martin e Professore?



(Martin) Uscire di qui? Certo, la sola cosa che conta è tornare. Tornare… perché mi suona strano usare questa parola? Forse perché io non sono andato da nessuna parte. Mi sono trovato qui e non so cos’è questo qui e perciò che significato assume la parola “tornare” in questo contesto?



(Professore) Ma rimpiangete tutti così tanto la vita, la situazione in cui vi trovavate? Iolanda, per esempio, non credo, mi sa che sia più tranquilla e sicura qui, o sbaglio? E tu, Martin, a quali impegni inderogabili sei costretto a rinunciare rimanendo qui? Io penso che dovremmo vivere questo evento come un’esperienza nuova e insolita, forse un’occasione per vivere un’avventura inaspettata e, tutto sommato, non proprio sgradevole. Intanto ci siamo incontrati, e questo mi sembra già una cosa positiva. Conoscere persone nuove ed estranee al nostro solito ambito io lo considero importante.



(Iolanda) Io sono tranquilla adesso. Mi sento fra persone che non vogliono farmi del male, che non mi accusano, non mi legano e non accendono fuochi intorno a me.



(Antonio) Professore non avevo pensato alla cosa da questo punto di vista. Abbiamo la possibilità di vivere una situazione eccezionale in un mondo di cui non sappiamo nulla. E se invece di preoccuparci di tornare lo esplorassimo? Magari troviamo anche qualcosa da mettere sotto i denti...



(Professore) Hai ragione, Antonio, siamo stati qui fermi anche troppo a lungo. Ci sono molti sentieri in questo parco, scegliamone uno e incamminiamoci, ovunque ci porterà sarà sempre meglio che rimanere ad aspettare chissà che cosa. E, devo confessare, che anch'io inizio a sentire un certo languorino...



(Martin, rassegnato ma nello stesso tempo determinato, più di quanto non lo sia stato fino a quel momento) D’accordo. Anche perché mi sto convincendo che “tornare” sia impossibile: non è per nostra volontà che ci troviamo qui e non sarà per nostra volontà che potremo andarcene. Perciò anch’io credo con non ci resti altro da fare che cercare di conoscere meglio questo luogo.