mercoledì 7 ottobre 2015

Polvere sul braciere


Un sole del dopo. Un caldo più tenue, fra un abbraccio umido e la bruma scura. 
Un tempo di fresco che tornerà di sicuro, quando le anime avranno placato le arsure della apparente e vanitosa vitalità estiva. 

Quel tempo lo sento. Mi pizzica un po', concedendosi il fresco e poi subito ritirandosi, quasi a farmi vedere che ci sarà. E ancora non c'è.

















Lo straccio. Mi serve uno straccio per togliere la polvere di tutti questi mesi, per tirare via la sabbia delle spiagge. 
E per cancellare il sale che le acque adriatiche hanno lasciato sulla pelle.

Riprendo, dunque, da dove la avevo abbandonata: la ricerca di un calore che mi ricopra le spalle e mi rassereni le preoccupazioni. Torno a inseguire quella pasta zuccherosa di famiglia, quell'aria sicura che solo un ceppo che arde può dare.

Riporto a me nuovi rametti di tranquillità: accenderanno la legna, la trasformeranno in carbone, facendola ardere, piano piano.
Con delicatezza e odore acre, la brace accoglierà le mie paure, rianimerà il coraggio.



Quel tepore accompagnerà le serate.
Sarà la prima cosa a cui penserò, quando calerò i miei piedi dal letto freddo dell'alba.
Quel calduccio mi aiuterà a far abbrustolire le castagne, il tardo pomeriggio.
E poi griglierà la cena.
Scalderà il latte per la buonanotte.

Lo so, sto sognando forse di un tempo che fu. Il tempo dei tizzoni e della sincerità. L'epoca di un Abruzzo antico e signore.

Lo so, sto scrivendo di un'atmosfera un po' persa. Di quando i carboni potevano anche rasserenare i tormenti.

Spolvero uno scaldino desueto, tentando di cancellare la foschia dai ricordi degli altri, che pure io vorrei avere.

Mi arrendo e riprendo lo straccio.
Pulisco tutto il mio braciere di sentimento, mi addormento.
Tornerò a respirare domani.

Concetta D'Orazio

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