mercoledì 27 maggio 2015

martedì 26 maggio 2015

Risveglio







Mi svegliavo una mattina
già sapevo colorare.
Con occhi miopi coloravo il giorno,
sfumature liriche di grigio,
con quelle, il cominciamento del dì
io istoriavo.
Fra abbagli poco accecanti,
sceglievo il giallo per il mezzogiorno,
un ebete blu per le ore di calore,
abbandonandomi la sera
ad un verde vespertino.
E poi la notte la facevo scura,
ma di un opaco che rassicura

e non mette pena.
Per svegliarmi, infine, all’alba,
vuoi di bianca speme,

vuoi di incerto marrone bruno.

(Florilegio, 2012)



Riflessioni a tempo - La penna

Ognuno firma con la penna che ha.

venerdì 22 maggio 2015

Riflessioni a tempo - Piango ma rido

Piagnucolii gratuiti, a sostegno di cause insignificanti.
Lacrime tanto bugiarde quanto vantaggiose.
A me fanno ridere.

martedì 19 maggio 2015

Riflessioni a tempo - Finzione

Si impara a fingere e si diventa pure bravi. L'ipocrisia è finzione sublime.
Con l'esercizio quotidiano, hai davvero raggiunto il più alto grado di specializzazione.

lunedì 18 maggio 2015

Riflessioni a tempo - L'idea

Mi verrà un'idea. Come sempre. Nel mentre mi pulisco la terra dalle mani.

A difesa del dialetto

Noi siamo oggi quello che siamo stati ieri.
Alleniamoci affinché le nostre esperienze di ieri possano formare la nostra civiltà di oggi. 
La parlata dialettale è saggezza che, prima di tutto, appartiene al passato. È conoscenza, è ricordo, è consapevolezza della nostra storia locale. 
Non si deve proibire ai ragazzi di parlare in dialetto. Aiutiamo i nostri figli a capire le differenze fra la nostra parlata di origine e la lingua italiana e ad apprezzare la ricchezza semantica della prima e la squisitezza della seconda.
            
I giovani potranno solo trarre giovamento da questo prezioso bilinguismo di base.

giovedì 14 maggio 2015

martedì 12 maggio 2015

Scelte grafiche: i dialoghi

 Una condanna per gli autori che si auto-pubblicano?






Scelte grafiche: i dialoghi.
Una condanna per gli autori che si auto-pubblicano?

Il punto finale. Eccolo. Ho terminato.
Il mio scritto ha preso forma e consistenza, è diventato una storia, con tutti i suoi personaggi al posto giusto e con la battuta azzeccata.
Adesso tocca fare la revisione. Accidenti, lo so, questo è il momento più noioso, non tanto per aggiustare sfumature di sintassi, quanto per superare la famosa prova, quella della scelta dei caratteri, o meglio dei segni grafici, più adatti alla resa dello scritto.

Per molte questioni di tipo pratico, quali ad esempio la formattazione del testo, l’uso dei rientri e la misura dell’interlinea, possiamo reperire facilmente informazioni, anche adeguandole a quanto richiesto dalla piattaforma a cui abbiamo deciso di destinare il nostro libro digitale. Diverso è invece il problema relativo a scelte grafiche personali, per le quali non troveremo aiuto concreto, tanto meno regole fisse.

Una domanda su cui, ammettetelo, ammettiamolo, ogni volta perdiamo quelle mezze giornate, prima di prendere una decisione definitiva, è questa: come rendere le battute dei vari personaggi? E meglio: quali simboli utilizzo per la resa del discorso diretto?

Ho scritto parecchie volte sull’argomento, in articoli e interventi disseminati per il Web, perché ritengo che quello della resa dei dialoghi sia uno degli ostacoli più antipatici per gli autori che pubblicano i loro testi in maniera autonoma: devono assumersi la responsabilità della scelta dei “segnetti” giusti.
L’esperienza degli ultimi anni mi ha portato (finalmente?) a decidere per una soluzione che, conoscendomi, so già che non sarà quella definitiva. Ritiro il finalmente.
Questo è anche il motivo per cui ho deciso di scrivere un nuovo articolo sull’argomento: mi sento oggi più consapevole, da questo punto di vista, anche se sono sempre volta alla sperimentazione, come accade per la gran parte degli autori indipendenti. Da appartenente alla categoria, posso dire con sicurezza che, ad ogni nuova pubblicazione, i dubbi relativi alla questione del discorso diretto, anziché scemare, crescono.

Accade infatti che, nel mentre sei impegnato nella scelta, ricordi di aver letto il libro di quel collega che faceva parlare i personaggi, anteponendo alle loro battute un  trattino. Hai trovato che quella preferenza fosse della giusta essenzialità.
Poi ti è pure capitato di dare uno sguardo all’altro e-Book, scaricato da poco, ed hai visto che i dialoghi anticipati dai cosiddetti “” apici (virgolette alte) danno un effetto più vivace alla narrazione.
Sì, però è anche vero che il libro dell’altro amico, ad occhio attento, ha una grafica più elegante, grazie all’uso delle virgolette caporali «».

Insomma, come ho già detto, consumi più di un paio di ore in Rete a capire quale sia la forma grafica più opportuna.
Uscirai dal labirinto di informazioni in cui ti sei cacciato, dopo aver digitato sul motore di ricerca qualcosa come “resa dialogo casa editrice”, con un gran mal di testa. Sarai costretto a constatare che ognuno fa un po’ come gli pare. I grandi marchi, in genere, una volta stabiliti i segni da utilizzare, seguono con estrema precisione le loro regole.

E gli scrittori indipendenti? L’ho già detto: fanno come meglio credono.
Alcuni stabiliscono a priori regole personali e le rispettano ad ogni nuova pubblicazione. Altri sperimentano, cambiano. Non seguono uno schema prestabilito.

Io mi metto in questo secondo gruppo: ogni volta provo novità grafiche, insomma utilizzo nuovi segni grafici, forse per l’insicurezza che mi viene da una sorta di ansia da prestazione.
La mia preferenza, l’ho già detto altrove, è ormai accordata alle virgolette caporali: mi sembrano eleganti, raffinate.
E pure poco invadenti.
I dialoghi introdotti dai caporali, infatti, non creano confusione nel lettore, come potrebbe essere invece con gli apici: quante volte li abbiamo visti, a sottolineare il significato di termini inconsueti o singolari?
E non parliamo dei trattini ( rigati): potrebbero trarre in inganno, confondendosi magari con i segni simili, i - trattini di congiunzione, utilizzati per separare due o più termini.
Però il trattino a me piace, ­­fa pensare a dialoghi animati, veloci. Credo che sia preferibile in testi di ambientazione moderna. I caporali, invece, li vedo bene nei discorsi diretti, all'interno di scritti di contenuto più classico, storico.
Queste naturalmente sono solo mie opinioni.
Comunque sia, oggi posso dire che le cosiddette virgolette basse sono le mie favorite.
Attenzione, non confondiamo i caporali « » con << >>, che personalmente non userei mai.

Ho sperimentato tanto, prima di arrivare a questa conclusione, dai trattini agli apici doppi.
Nei miei scritti c’è la prova di questi esercizi di resa, chiamiamoli così.
Ogni autore indie d’altronde va avanti provando e riprovando.
Cerchiamo di perfezionarci, di migliorare.
L’esperienza, infine, porterà ad adottare sempre nuovi accomodamenti.


Concetta D’Orazio

Perché Maria Celeste punisce il suo corpo?


[...] mentre mi sbeffeggia sulla pancia, si dirama agli avambracci e scende giù nelle gambe, fino ai polpacci. Lo specchio non mi permette di vedere pure quelli ma già so che quella meschina rosetta è andata a lievitare anche lì.
Non mi sento troppo in colpa. Almeno non quando ho a portata di mano la soluzione.
Ed adesso ce l’ho.
Le dita in gola e la testa affacciata sul gabinetto.[...]




domenica 10 maggio 2015

Riflessioni a tempo - Il naso

Certi nasi non si scordano mai.

Riflessioni a tempo - Le righe dell'età

Ho letto la tua. Ce la siamo anche passata di mano, la foto.
Il gozzo tradisce tutti gli anni che nascondi dietro le menzogne.

Un bacio al mondo che cade

Mi addormento, piangendo insieme al mondo che piange.



Una tortura ogni sera, arrestare i pensieri e fermarli sul nero di un mondo che pare arrivato alla conclusione.

Mi dico: domani, forse, si rialzerà. 
Domani, è probabile, tornerà a cantare. 
E a brillare. 
E a non avere più fame.

Me lo sogno pure, quel desiderio. 
Come un disegno da colorare. 
Come una federa da ricamare.

Ma la notte si consuma con quell'illusione.

Domani sarà ancora giorno.

C. D'Orazio

Esile



Cosa contengono quei biglietti che Maria Celeste riceve da insoliti personaggi? Sono lettere, come quelle di una volta, all'interno di buste color panna. 

Perché la giovane farmacista ubbidisce in maniera incondizionata a misteriosi comandi, recandosi di volta in volta in posti diversi, facendo incontri così singolari?
Vissuto e presente, in una giostra di attese e di rievocazioni, lungo un sentiero che è di tenerezza ma pure di sofferenza. Su tutto, l'ombra di un amore, di una felicità che ha lasciato il posto all'angoscia dell'abbandono.


Un ricordo che si fa affanno e che sfoga il suo dolore sul fisico della protagonista, impegnata a mantenere un’eccessiva linea esile. 


Maria Celeste si aggira intorno alla sua solitudine, con l'unica compagnia di una fragranza: un’emozione che non coinvolge il solo senso olfattivo ma si espande a toccare quelli più nascosti nel suo essere
.

Un rosso di rimando

Sei qui.
La mia attesa è finita.
Hai impiegato un anno, dall'ultima volta. Questo lo sai.
Un anno. Comprendi il significato di tutto questo tempo perso?

Come credi che mi sia sentita io, senza di te?
Un vuoto. No.
Una voragine. Nemmeno.
Una nostalgia la miaSi faceva ogni giorno più impegnativa.

In tutti questi mesi ho dovuto far finta di niente. 
Immagina se qualcuno si fosse accorto. Immagina se qualcuno avesse capito la mia afflizione.
Sarei stata additata. E peggio: sarei stata calunniata e derisa.

Una come me che aspetta te?
Mi rendo conto? Ti rendi conto?
In tutto questo tempo, dunque, ho patito in silenzio, concedendomi solo qualche sospiro in gran segreto.

Ultimamente l'indugio mi era diventato intollerante.
Mi recavo lì, nel silenzio delle ore piene.
Proprio lì, nel luogo dove presumevo che avresti fatto ritorno.
Quel posto tutto nostro.

Adesso è finita. Ora ci sei. Un rosso che sfuma.
Lo osservo. Lo misuro.
Mi sembra quello dell'anno passato.
O forse è di una gradazione più vivace.

Fatto sta che è ancora immaturo. Acerbo. Intempestivo.
Proprio come te.
Basteranno un paio di giorni.
E poi sarai esigibile.
E io ti esigerò. Di certo.

Basterà allungare la mano.
Nella peggiore delle ipotesi, mi industrierò pure, arrampicandomi.

Rosso di rimando.

Ciliegia che non sei altro.

C. D'Orazio






lunedì 4 maggio 2015

Un silenzio di me. Una virtualità di troppo.




Mi ritrovo in silenzio, in questo tempo senza giorni e senza ora. Accade.
E mi allontano da quelle pagine che diventano moleste. Fastidiose. Insistenti.
Le pagine virtuali, sociali: teatrini di apparenze e di illusioni.

Non ho voglia di parlare e, vi dico la verità, ancor di più mi annoia leggere le parole cotte al vapore, che le stesse persone di sempre mettono in fila sui fogli virtuali del Web. 

Non dovrei dirlo, lo so, ma è più forte di me: rifuggo le banalità, intrise di sorrisi imperlati, di quanti vogliono mascherare comportamenti ipocriti ed indirizzati a questo o quello scopo. 

Non sopporto, inoltre, i lamenti incessanti. Patisco le parole urlate al soffio del garbino molesto, sulle pagine virtuali. Mi passano ogni giorno avanti agli occhi e non le vedo: frasi complicate e semplici di persone, impegnate in continue ed asfissianti lagnanze, ai danni ora di uno, ora di un altro. 
Individui tristi e polemici ad ogni ora. E mi chiedo: ma cosa vogliono questi? Stanno forse sottolineando, a suon di proteste, la loro perfezione?
O forse si sentono costretti a gridare al vento parole di critica. Di odio. 
Buttano in aria biasimo e rimproveri, nella speranza che almeno qualcuno li ascolti. 
Forse accadrà. Un domani troppo vicino al mai.


Mi ritiro, infine, tornando a considerare quello che davvero mi piace. Un tenero bagliore di sera, che mi rinfranca l'essere. Lontano dai frastuoni di colori e di parole inutili di quella virtualità disillusa. Ho bisogno dei miei cantucci ovattati, fra le ombre del mobilio di casa. Laddove arriva poca luce, di solito giungono le idee più importanti. E io le cerco. Le trovo. Le scansiono e poi me le dipingo di nuovo.

Mi accompagno con i miei giochi, che sono di carta, di pensiero, di pagine. Ho urgenza di fogli, come necessito presto di cibo al mattino, che dia pienezza di stomaco, ad accogliere il mio caffè.
Lo studio mi rinfranca. Mi calma l'affanno, come una bevanda di ristoro per quella sete che si rinnova sempre.

E poi mi ricordo. La memoria si piega a godere di tutto quello che ho sempre amato. E che amo.
Il pensiero mi aiuta a non dimenticare quello che mi piace.
Affondare le mani nella pasta, ad esempio, mi è d'aiuto e mi conforta. Non come una cuoca d'effetto ma solo  come una regina delle api, che prepara il necessario ma anche tutto ciò che fa felici. 
Rivisito ogni giorno i miei piatti: li presento imperfetti e senza l'eleganza di un vero cuciniere. Le pietanze mi piace metterle lì, quasi rustiche.
Le raffinatezze le lascio a chi cucina per mestiere. Io cucino per amore.

Ripenso ancora alle cose che preferisco. E pure a quelle che non preferisco.
Mi viene in mente che non amo i foulard, che non mi piace l'insalata di barbabietole. E poi ancora: sto lontana dai salotti e le mie letture me le leggo e me le canto. Non mi piace condividerle e infatti non le condivido. 
Non metto mai i libri in mano a chi non me li ha chiesti, men che meno quelli che mi appartengono.
In realtà non li consegno nemmeno a chi me li sollecita. È probabile che io sia egoista.

Mi sono fastidiose le borse. Quelle belle e di lusso non le so apprezzare e, perciò, mi stanno antipatiche. 
Anche sulle spalle delle altre. Ma non lo dico mai.



E poi mi piace passeggiare in montagna.
Fischiare in silenzio.
Cantare da sola.
Urlare di rabbia, quando nessuno mi sente.
Appoggiare i gomiti al tavolo, quando nessuno mi vede.
Saltellare sui tacchi, sfoderando indifferenza.
Sperare di rincasare al più presto, per buttare quei tacchi di prima.
Svegliare chi mi sta di fianco, scalciando sulla tibia.
Trattenere il fiato. Far finta di dormire, ignorando i rimproveri del proprietario della tibia.
Privilegio di sicuro la cena sul presto.
Ma sono meridionale nel gusto e nel sentimento.
Non disdegno la pennichella pomeridiana.
Prediligo, per certo, il fuoco del camino.


Vorrei svegliarmi con la certezza di aver già pensato a tutto.

Ecco, concludo, ricordando l'intento iniziale: non riempite di biasimo le pagine virtuali.
Pensate a voi stessi. Alle cose che amate.

Ed infine, non chiedetemi il senso di questo pezzo.
È venuto così, senza infamia e senza lode.
Sì, lo so, pure senza senso.

Se non fosse che anche voi però lo avete letto per intero.


Concetta D'Orazio











Oggi, nel nostro tempo, tutto sembra aver raggiunto il limite massimo: l'ipocrisia, la falsità, l'astuzia, la malizia.
E il raggiro è padrone di tutto e di tutti. 
Quel che più mi destabilizza, però, è l'ingenuità di alcuni, pronta a fidarsi delle mezze parole messe in croce dai più furbi, sia pure in maniera elegante e solo in apparenza finalizzata alla correttezza.

Riflessioni a tempo - Distratte distrazioni

Non fate caso alle distrazioni, quelle fatte ad arte per non essere esibite.
Come dire: le vedete ma nessuno le ha mostrate.