venerdì 30 maggio 2014

Cannoncini di sfoglia al cioccolato - Velocissimi




Velocissimi da preparare. Questi piccoli cannoncini sono la variante frettolosa delle Totere, cioè dei cannoli con crema e cioccolato di cui trovate qui la ricetta. 
Sono dolcetti deliziosi, leggeri perché fatti con pasta non fritta, come le Totere, ma cotta al forno.
Io li realizzo utilizzando la comoda pasta-sfoglia in rotoli che trovate già pronta nel banco frigo del super mercato.
A dire la verità, visto che  abbiamo proprio  fretta (io ne ho sempre) consiglio di prendere la crema pasticcera (gialla, al cioccolato o chantilly) già pronta, in polvere da mescolare semplicemente con il latte.

Ingredienti (per un vassoio di medie dimensioni) 

Rotolo rettangolare di pasta sfoglia 
Crema per la farcitura, come da ricetta qui. Ricordate che per un rotolo di pasta sfoglia sarà sufficiente metà dose di  quella che trovate nel link.

Preparazione

Portare la temperatura del forno a 180°.
Dopo aver steso la pasta sfoglia, tagliarla a striscioline del diametro di 2.5 cm (in cottura si gonfieranno). Avvolgere la pasta intorno a formine a cono. (Proprio nello stesso modo che ho descritto per questi altri cannoli, qui)
Vi posto la foto delle formine.

 


Adagiare le formine con il composto arrotolato sopra una teglia ricoperta di carta da forno. Cuocere per un 10/15 minuti, fino ad avere una leggera  doratura della  pasta.
Togliere dal forno, riempire i cannoncini con la crema precedentemente preparata, quando sono ancora tiepidi.
Spolverare  con  zucchero al velo.



giovedì 29 maggio 2014

Autori a confronto - Io edito, tu editi, egli edita

Avete finalmente messo la parola fine al vostro romanzo. Tirate un sospiro di sollievo.
Credete di aver finito? Adesso arriva il bello!

Ecco come Antonella Sacco, Roberto Bonfanti, Mario Pacchiarotti e Concetta D'Orazio illustrano la personale metodologia nella preparazione del testo per la pubblicazione.








Antonella Sacco




Roberto Bonfanti




Mario Pacchiarotti





Concetta D'Orazio





Autori a confronto – Come si realizza un ebook

1.      Preparazione del testo, editing e correzioni.

Tutti oggi possono buttare online le proprie cose, componendole in un libro elettronico, da mettere in vendita in una delle innumerevoli librerie virtuali disseminate in Rete.
L’auto-pubblicazione è ormai alla portata di tutti. Tanti si scoprono così scrittori.
Non mi dilungherò sulla opportunità o meno di rendere di pubblica fruibilità i propri amati testi: chiunque si appresti a farlo deve avere necessariamente la consapevolezza che quell’atto li esporrà inevitabilmente a giudizio, buono e meno buono.
A me piace sapere che sono in tanti coloro che scrivono e che  le persone abbiano la necessità di trasporre sulla carta (nell’accezione più metaforica possibile del termine) sentimenti ed emozioni, per un intrinseco bisogno di comunicazione.

Sono sicura che ognuno di noi, allorquando clicca sul bottone della pubblicazione, ha ben chiari i rischi di ritorno di critica che un tale gesto comporta.
Proponendo i nostri testi, accettiamo implicitamente che essi siano graditi o condannati dal pubblico che ne usufruisce.
Se per ciò che concerne la trama ci possiamo affidare alla cosiddetta buona sorte, non è possibile invece attribuire ai capricci del fato anche il consenso di pubblico in merito alla perfezione o meno del testo scritto. Le parole, si sa, vanno articolate, pesate, validate. E poi ancora: la disposizione scritta deve essere comprensibile, piacevole ma soprattutto corretta.

Quanto facciamo per rendere perfetti i nostri testi?
Quali sono i primi accorgimenti cui dobbiamo sottoporli, prima di validarne la pubblicazione?
Vi racconto come faccio io.
Una volta abbozzata la trama, i fatti salienti, delineati i personaggi passo ad una prima rilettura.  In questa fase, ho bisogno di avere sotto agli occhi la stampa del testo, in maniera da poter prendere appunti, sottolineare, tagliare oppure integrare. I pennarelli di colore diverso mi servono per evidenziare i cambiamenti da apportare al testo (la barra nera indica l’eliminazione, l’evidenziazione in celeste configura un passaggio poco chiaro, in giallo annoto le aggiunte e così via).
Mi metto così di buona lena a rileggere il testo, periodo dopo periodo.
In questa prima fase, tengo vicino a me anche un quaderno: mi occorre per abbozzare  i miei schemini.
Cosa schematizzo? Innanzitutto scrivo i nomi e cognomi dei personaggi e vedo se essi compaiono sempre uguali nel corso dell’intera narrazione. So che può sembrare ridicolo ma vi assicuro che spesso mi è accaduto che i miei amati protagonisti abbiano deciso di cambiare identità. Ho dovuto considerare con raccapriccio come una Rosetta fosse all’improvviso diventata Rosina o un Luigi si fosse trasformato in Gino, senza che io ne fossi minimamente consapevole, men che meno consenziente.
Dei personaggi, inoltre, schematizzo le varie parentele e sintetizzo le peculiarità caratteriali.
Continuo la mia  prima revisione, concentrando l’attenzione sulle congruenze spazio-temporali.

Nel corso di questa prima lettura, ripeto, ho la necessità di creare e consultare questi miei schemi per vedere che tutto corrisponda e si combini alla perfezione. Devo controllare, inoltre, che non vi sia troppo né troppo poco.
Sintetizzando, posso dire che gli schizzi grafici e di sintesi mostrano alcuni punti fondamentali per la nascita del romanzo.
I miei appunti tengono conto di diverse questioni.

Personaggi: nomi, parentele, caratteristiche, eventuali abitudini e/o tic.
Tempi dell’azione: devono corrispondere e seguire sempre una logica ed una  consequenzialità.
Luoghi, paesaggi. È opportuno disegnare anche un abbozzo di mappa, nel caso i protagonisti si muovano in un ambiente con limitazioni di spazio molto definite.
Linearità della trama (logicità e coerenza dei vari intrecci).
L’impegno più importante della prima revisione consiste, dunque, proprio in questo controllo che tutto sia congruente.

Mi pare superfluo dire che, nel corso di questa prima rilettura e di tutte quelle a venire, l’attenzione oltre che alla congruenza del testo deve essere massima pure sulla linearità e correttezza delle espressioni in lingua italiana, nel rispetto di grammatica e sintassi.
Saranno necessarie letture diversificate.
Ma quali sono gli aspetti della lingua che dobbiamo soprattutto considerare?
Questo è un discorso che meriterebbe una trattazione doviziosa a parte. Posso, in questa sede, riassumere le principali attenzioni che si devono porre a ciò che abbiamo scritto.
Il primo aspetto da considerare è senza dubbio il rispetto della consecutio temporum, vale a dire della giusta corrispondenza tra tempi verbali. In un periodo, composto da una principale e da più  frasi subordinate, i tempi dei verbi devono essere scelti in base a determinate regole che ne amministrano i  rapporti di anteriorità, contemporaneità, posteriorità.
Nel corso di tutte le revisioni è necessario prestare attenzione a tutti quei piccoli  errori che potrebbero sfuggire. Si devono dunque controllare la concordanza tra soggetto  e verbo, la punteggiatura,  gli apostrofi e gli accenti.

In conclusione, personalmente faccio parecchie volte questi passaggi di  verifica e riscontro, prima di poter affermare con una certa sicurezza che il testo è pronto alla pubblicazione.


Concetta D’Orazio

martedì 20 maggio 2014

Autori a confronto - L'ebook non esiste

Immaginate di aver sognato tutto: l'ebook non esiste.
Avete avuto un incubo. Al risveglio non troverete più nessuna libreria virtuale e nessun libro digitale da caricare sul vostro tablet.
Come vi sentireste?
Qualcuno non avvertirà il benché minimo affanno. Correrà nella sua biblioteca fatta di libri veri, ne sceglierà uno con tutte le pagine di carta al loro posto.

Per qualcun altro, però, destarsi dal sonno involutivo sarà un dramma.

Ecco come Antonella Sacco, Roberto Bonfanti e Concetta D'Orazio ci espongono i pro e i contro dell'ebook, continuando la serie di articoli "Autori a confronto".



Antonella Sacco


Roberto Bonfanti


Concetta D'Orazio





Autori a confronto

L'ebook: i pro e i contro


Il tuo dispositivo per la lettura ha una buona autonomia, l’hai tenuto in carica per tutta la notte. Chiudi la custodia, lo metti nella borsa. Ti aspetta una mezza giornata di commissioni, inframezzate da oltremodo noiose file agli sportelli. Non ti scoraggi: devi terminare il libro che hai iniziato. E, nel caso, hai a disposizione un’intera biblioteca, all’interno della tua libreria virtuale.

-        Torniamo indietro, riavvolgiamo il nastro.
La tua borsa è già piena, prevedi di rimanere fuori casa per parecchie ore. Hai diverse faccende da sbrigare, dovrai anche affrontare ore di fila allo sportello dei vari uffici.
Tu sei previdente, prendi un paio di pacchetti di gallette e pure una bottiglietta d’acqua.
Uh, e la fila? Come lo passo il tempo?
Hai una fornita libreria in casa ma la borsa è piccola ed è già piena.
Ti restano poche alternative: o svuoti la sacca o tieni il libro a casa.
E non voglio conoscere la tua scelta.

Accendi il tablet, sfogliare quelle pagine è piacevole. Regoli la luminosità del dispositivo, la adatti alla luce che c’è nella sala d’aspetto. Mentre le altre persone sono sedute a girarsi i pollici, tu clicchi con gusto sull’applicazione per la lettura, calandoti in dimensioni altre.
Hai pure regolato la grandezza del font sulla tua bella pagina virtuale, in maniera da non aver problemi di sorta con la vista.

-        Torniamo indietro. Riavvolgiamo il solito nastro.
Alla fine hai sacrificato il pacchetto dei biscotti. Non potevi lasciare il tuo bel libro di carta a casa: cosa avresti fatto per tutto il tempo? Ti siedi, lo prendi dalla borsa. Lo apri.
Blocchi subito l’entusiasmo. Le mani nei capelli. Hai dimenticato gli occhiali!

Il tuo numero  di attesa è il 97. L’indicazione luminosa informa che in quell’ufficio sono arrivati a sbrigare le pratiche del 32. Non ti affanni. Sei giunta quasi alla fine del tuo libro. Non ha importanza: hai una biblioteca intera sul tablet.
Respiri. In fondo attendere a lungo in fila hai i suoi lati positivi: trovi tutto il tuo tempo per dedicarti alla lettura. Hai avuto anche modo di fare un paio di ricerche online e di consultare il dizionario.
Ti rendi conto che vivi in un’epoca fortunata. L’ebook ha rivoluzionato il modo e la qualità della lettura.
Mentre pensi questo ti vien da sorridere.
Ti guardi intorno con malcelata soddisfazione. Una persona, seduta di fronte a te, attira all’improvviso la tua attenzione. Sembra afflitta, si passa nervosamente le mani nei capelli.
Ha un libro sulle ginocchia.
È chiuso.
Torni alla tua lettura: l’applicazione ha tenuto il segno per te.
Continui a pensare alla tua fortuna di poter godere delle nuove possibilità offerte dalla tecnologia.
Certo, pensi, ci saranno pure i lati negativi, non lo metti in dubbio. In fondo, ogni medaglia ha il suo rovescio.
La tua mente decide di concentrarsi a considerare gli aspetti sfavorevoli di questa nuova dimensione editoriale.
Dai, cerca bene, li troverai.
Cerca meglio.
Concentrati.
Via il 95
Via il 96
Numero 97

 Concetta D’Orazio

Voi che ne pensate?

domenica 11 maggio 2014

Autori a confronto: la scoperta del Self - publishing


Inauguriamo una serie di articoli scritti a più mani sul tema del self-publishing, iniziando col racconto di come ognuno di noi si è avvicinato a questo mondo.

Questo articolo è pubblicato anche sul blog Ant Sacco di Antonella Sacco e Chiacchiere e distintivo  di Roberto Bonfanti

***

Conoscevo un solo tipo di libro: il libro di carta.
Avevo esperienza di pubblicazioni online ma, a dire la verità, pensavo fossero dirette ad un pubblico limitato o comunque indirizzate esclusivamente ad utenti navigati della Rete. Credevo, inoltre, che la letteratura digitale si potesse esprimere attraverso articoli, approfondimenti e archiviazioni virtuali che rimandassero inevitabilmente ai tomi conservati nelle biblioteche pubbliche e private.

Come conoscevo un solo libro, riconoscevo pure un solo scrittore, avendolo sempre immaginato intento a comporre le sue opere e mai affaccendato a darsi pena di promozione attraverso il Web.
A quei tempi, dunque, non avevo ancora maturato evidente esperienza in campo di  editoria digitale.
Non mi riferisco a decenni or sono! No. Da allora sono passati soltanto due anni. Fu nella primavera del 2012, infatti, che iniziai a considerare con una certa curiosità quella strana modalità di divulgazione che chiamavano self-publishing, una sorta di pubblicazione fai da te o “in autonomia”, come mi piacque ritenerla qualche tempo dopo.
Iniziai con il leggere casualmente qualcosa su Internet. Non avevo carte nel cassetto in realtà, dal momento che le mie righe buttate qua e là non avrei mai pensato di destinarle ad una pubblica lettura.

La mia scoperta del self-publishing pertanto fu dettata né da interesse, quale poteva essere quello di pubblicare ad ogni costo, né da ripiego, vale a dire quello che può venire in seguito al rifiuto dei propri manoscritti da parte di case editrici.
Il self-publishing fu per me solo una rivelazione casuale.

Per questi motivi, mi accostai all’auto-pubblicazione in maniera molto serena, con poche aspettative ma parecchia curiosità.
Fu così che iniziai a far ricerche e a trovare notizie su notizie, rimanendo però sempre alquanto confusa. I dubbi erano numerosi. Tra le tante cose, non capivo bene la differenza fra la pubblicazione guidata da aziende editoriali che garantivano la diffusione in tutte le librerie online e la possibilità di fare tutto privatamente, senza passare attraverso nessun intermediario.
Fu proprio nel corso di queste mie ricerche che decisi, su motivato incoraggiamento da parte del consorte, di provare.

Riunii i miei appunti sparsi in un’antologia che volli mettere online da sola.
Avevo esperienza di impaginazione editoriale: realizzare il primo file non mi fu troppo difficoltoso, anche se oggi riuscirei a farlo più velocemente e con maggiore precisione.
La pubblicazione fu pressoché immediata. Credevo di essere arrivata. L’entusiasmo, però, svanì presto, quando mi resi conto che avere il libro sugli scaffali di una libreria virtuale è solo il primo passo.
Il mio libretto di poesie se ne stava lì, fermo. Mi resi subito conto che occorreva “presentarlo” al pubblico della Rete, altrimenti sarebbe rimasto dove lo avevo posizionato.

Non avevo la minima idea di come impostare un’azione di promozione.
Iniziai nuovamente a far ricerche, nella speranza di trovare altri autori dediti all’auto-pubblicazione. In Rete allora, incredibile, non c’erano molte comunità dedicate al self-publishing. Scoprii che anche altri, come me, avevano le stesse perplessità e cercavano colleghi con cui condividere le loro esperienze.
Una volta formato un primitivo e timido gruppetto su Facebook, i Pionieri appunto, imparammo a confrontarci in maniera pressoché quotidiana sulle varie problematiche che ci si presentavano.
Da allora sono passati due anni e di esperienze ne abbiamo fatte!

Concetta D’Orazio

                                                         ***

La decisione di pubblicare alcuni dei miei scritti in modalità digitale e self è dovuta quasi al caso ed è senz’altro stata determinata soprattutto dal fatto che predisporre un ebook è un processo molto semplice (da un punto di vista informatico, intendo). Per essere sincera non ricordo né come né quando ho preso questa risoluzione, che è stata sostanzialmente improvvisa e contemporanea all'acquisto di un ebook reader (del 15 settembre 2013, come testimonia lo scontrino).

Appassionata di libri di carta, fino a quel momento non avevo mai nemmeno preso in considerazione gli ebook e se ho iniziato a documentarmi in modo sommario sui dispositivi di lettura è stato perché mi pareva opportuno stare al passo con i tempi.

Nonostante il fatto che editori tradizionali abbiano pubblicato alcuni dei miei romanzi per ragazzi (tuttora in commercio), qualcosa mi ha spinta a provare la strada del self-publishing: oltre alla semplicità cui ho accennato prima, la curiosità e il desiderio di dare ai miei testi, che per svariati motivi non interessano o non ho sottoposto a editori, una possibilità di essere letti.

Il primo ebook che ho pubblicato è una racconta di racconti uscita in edizione cartacea diversi anni fa, con una piccola casa editrice e con il mio contributo. Era venuto un libro carino, ma è stato letto solo da poche persone: quindi in pratica è stato quasi come se non fosse mai uscito dal mitico cassetto. Diventare l'editore digitale di me stessa mi è sembrata un'ottima occasione per aprire il cassetto e lasciar volare via i fogli scritti in esso contenuti.

La mia esperienza come autrice self è, quindi, molto recente. Per ora la trovo positiva, non tanto per le vendite, che dopo sei mesi raggiungono solo poche decine di copie, quanto per la totale autonomia nella realizzazione del libro e la possibilità di mettermi in gioco.

Un altro aspetto positivo è l'intrecciare rapporti, anch'essi virtuali, con altri autori self, con cui avere interessanti e stimolanti scambi di idee e di esperienze, per orientarsi in questo mondo che, in Italia, è ancora alquanto inesplorato.

Sono convinta che, sia pure non nell’immediato, l’utilizzo di testi in formato digitale e dei relativi supporti per accedervi si diffonderà e mi piace l'idea di partecipare attivamente, nel mio piccolo, a questo inevitabile cambiamento.

Antonella Sacco


                                                        ***

Un recente post su Facebook del mio amico Silvio mi ha riportato indietro di 20 (venti!) anni, al 1994. Per completezza di cronaca dovrei spiegare chi è questo mio amico, in che rapporti siamo e un sacco di altre cose, ma questa è un’altra storia. Quello che conta è il contenuto di quel post e il significato che ha per me: ha pubblicato due immagini, presumo scansionate, che riproducono la copertina di un libro e la terza pagina dello stesso volume, con tanto di introduzione. Il libro si chiama “Tutto e niente”, è uscito giusto vent’anni fa e, in basso, sulla grigia e austera copertina, c’è il mio nome. All’epoca il volume uscì in tiratura molto limitata (ora non ricordo il numero esatto, qualche decina di copie) che regalai ad amici e conoscenti, fra cui il suddetto Silvio. Tralasciamo pure il contenuto del libro (racconti, poesie, cazzabubbole), in questo contesto quello che conta è la sua genesi: il libro non fu pubblicato da un editore, lo realizzai e stampai con l’aiuto di un gruppetto di persone che si occupavano di associazionismo, di cultura, di scrittura (e di altre cose) in maniera piuttosto amatoriale. Loro avevano una stampante laser molto veloce e adatta a grossi volumi di stampa, l’evoluzione del ciclostile, che io potei utilizzare come una sorta di “print-on-demand“ ante litteram… quindi, a tutti gli effetti, si tratta di auto pubblicazione. Chi mi conosce sa che fra i miei difetti la presunzione non è quello principale, ma, in questo caso, non riesco a reprimere un moto di orgoglio e affermare che sono stato un precursore, un autore self prima del self-publishing.


Dopo questa botta di autocelebrazione cerco di tornare a cose più attinenti all’argomento di questo articolo, magari questa storiella la terrò da parte per raccontarla ai nipotini, un giorno.

Per me la scoperta del self-publishing “moderno” è una conseguenza dell’incremento della mia produzione letteraria, ho sempre scribacchiato qualcosa, ma negli ultimi anni sono diventato più prolifico. Nel 2010 ho scritto il mio primo romanzo, l’anno successivo il secondo e una raccolta di racconti, e così via. A un certo punto ho sentito nuovamente l’irresistibile richiamo di ogni scrittore, o presunto tale, cioè quello di diffondere le mie straordinarie opere. Considerando la rivoluzione digitale degli ultimi vent’anni, questa volta ho cercato su internet un modo per poterli stampare a basso costo e, dopo varie valutazioni, mi sono indirizzato su Lulu (uno dei più diffusi siti di print-on-demand, appunto). Ho realizzato alcune copie dei miei libri, anche queste le ho regalate e la cosa sarebbe finita lì, se non si fosse messo di mezzo, ancora una volta, lo sviluppo tecnologico. Sono sempre stato un vorace lettore, ho bisogno di libri, sempre e comunque, è naturale che a un certo punto sia stato incuriosito dall’ebook reader, una volta entrato in possesso di uno di questi “cosi” la conseguenza è stata la scoperta di amazon (appena sbarcato in Italia) e di tutto quello che ne consegue. A ottobre del 2013 ho fatto il grande passo e, spinto da quel richiamo di cui parlavo prima, mi sono lanciato in questa avventura: da allora ho pubblicato un… ehm, due… no, ben sei ebook con Kindle Direct Publishing, ed ho iniziato a interessarmi di editoria indipendente e self-publishing in particolare.

Come riflessione finale, basata sulla mia esperienza, direi che il self-publishing altro non è che un nome nuovo per una pratica già consolidata, aggiornata alle attuali possibilità tecnologiche e comunicative. La risorsa principale di chi sceglie di auto pubblicarsi è oggi rappresentata dall’ebook, il libro elettronico che azzera i tempi e i costi di stampa, di spedizione, di stoccaggio (nonché farci sentire più fighi e rispettosi dell’ambiente). Le implicazioni di queste possibilità non sono solo pratiche, ma anche “filosofiche”: chiunque può scrivere un libro e distribuirlo in modo pressoché istantaneo in tutto il mondo (altro che regalarlo a parenti e amici!), mentre fino all’altro ieri per ottenere questo risultato era necessario il supporto delle infrastrutture di una casa editrice. Di fatto questa è la vera rivoluzione dell’editoria degli ultimi anni, un processo di cui ancora non è facile prevedere le conseguenze.

Roberto Bonfanti

giovedì 8 maggio 2014

Le parole che non usiamo più




Utilizzo un aggettivo un po' vecchiotto, scrivo in maniera inusitata? Tutti mi guardano o mi leggono con parecchie remore. Ma le remore le vedo solo io, o al limite pochi amici, perché gli altri, in realtà, quelli di prima, mi hanno solo guardato o letto strano. Al limite avranno pensato Ma che tipa antica questa qui che scrive così, ma quando è nata?
Mi verrebbe da rispondere che la lingua non ha età ma già so che non è vero.
La lingua, gli anni, se li porta appresso. Il tempo la indispone e la scompone.
Il tempo passa e le parole si adattano alle età che arrivano. Spesso questo adattamento è ingrato, vale a dire che distrugge quanto per lungo tempo si è insegnato e appreso.
Quello che dispiace maggiormente, come ho già scritto in un altro articolo, non è tanto il fatto che la lingua si stia evolvendo, evento appunto naturalissimo, quanto una circostanza nefasta che forse non è ben chiara a tanti: il nostro idioma sta diventando povero.
Evoluzione, in genere, non corrisponde ad impoverimento. Semmai è termine atto ad indicare una condizione più avanzata, più favorevole, non pertanto di decadimento.

La nostra lingua allora non si sta evolvendo. L'italiano sta attraversando piuttosto un periodo di regressione volta al depauperamento semantico e alla perdita di alcuni vocaboli.
Molti sono i termini che fino a poco tempo fa utilizzavamo per indicare azioni, oggetti o modi di essere e che oggi compaiono meno non soltanto nella lingua parlata ma anche negli scritti, quasi sacrificati. Alcuni sono sostituiti anche da parole straniere.

Iniziamo con qualche esempio, ma la lista potrebbe essere lunga, purtroppo.

Parole composte.

Perché tendiamo a "restringere" ciò che potremmo utilizzare con disinvoltura per indicare un momento o un'azione "lunghi"?

Mi passi il fon?
Il termine straniero, dal tedesco föhn, è più corto, più sbrigativo, più giovane (più giovane?). Che ne sarà del nostro asciugacapelli? La parola composta sta ad indicare appunto l'azione compiuta dallo strumento e la direzione a cui questa azione è rivolta, vale a dire quella di asciugare i capelli appunto. La parola  è troppo lunga? Troppo noiosa (noiosa?)?

Allora ci vediamo nel pomeriggio! 
Si va bene, con pomeriggio, però, si dice tutto e niente. Se invece dicessimo nel dopopranzo potremmo essere più precisi, indicando le primissime ore appunto e non il pomeriggio intero.

Aspettami un attimo nell'anticamera, arrivo subito! 
Immagino il  risolino sotto i baffi di chi mi  sta aspettando, pensando di essere fermo in un semplice ingresso, o al massimo sulla porta, ignaro di dover fare attesa di anticamera. Lo so, suonerebbe davvero molto, troppo, solenne. E io farei una figura infelice.

Abbiamo fretta e dunque accorciamo. Accorciamo tutto ma proprio tutto. Persino la pastasciutta!
Per pranzo mi prepareresti un bel piatto di pasta?
La nostra urgenza sempre al primo posto, hai visto mai che attendere la cottura di una pastasciutta porti via troppo tempo.
Anche perché potrebbe suonare il portalettere, per recapitarci qualche grattacapo.
Certo, sempre meglio un portalettere galantuomo che un lestofante. Quello non suona. E il grattacapo ce lo procura ugualmente!

Aggettivi

Ci piace accorciare ma ci piace troppo semplificare, ridurre ad un solo termine quanto prima potevamo dire in cento maniere, ognuna adatta all'uso.
Capita di servirsi di un solo aggettivo che sembra aver inglobato dentro sé il significato di molti altri.

Uh quanto è sporco! 
Ci accontentiamo così di definire sporco un oggetto o un essere animato, senza pensare che potremmo dirlo lordo, oppure lercio, imbrattato, lurido.

Un compito difficile! Certo difficile, sempre meglio che arduo, difficoltoso, ostico!

Una bella ragazza! Avreste preferito fosse avvenente o attraente? Mi dispiace, è solo bella.

Avverbi e locuzioni avverbiali

Uh, degli avverbi poi è meglio non parlare. Quelli li abbiamo ridotti eccome. Stiamo molto attenti a non sprecare. 
D'altronde c'è la crisi; siamo in regime di ristrettezza, indi occorre risparmiare su tutto. 


Concetta D'Orazio



martedì 6 maggio 2014

Come nasce "Nero di memoria"




Dovevo scrivere. Lo sentivo. Dovevo scrivere per non dimenticare. E per non concedere oblio alle vicende di chi non c'era più.
Non ricordo quando fu la prima volta che iniziai a prender appunti, buttando giù, sui fogli di un blocchetto, tutte le notizie che portavo dentro da sempre, per averle sentite raccontare da quando ero bambina. 
La casa e la famiglia, il luogo dove si vive e la gente con cui si trascorre la propria esistenza, da quando, da piccoli, si inizia a prendere coscienza del mondo, finiscono inevitabilmente per diventare un pezzo della tua carne. Della famiglia di origine, genitori, fratelli e nonni, si ereditano persino i battiti cardiaci, arrivando, quando ormai si è grandi, ad avere pensieri e ricordi che si fondono con quelli di tutti i componenti. E si confondono.
Il ricordo che ho della parola "guerra" è quello che custodisco da mio nonno, classe 1912.
«Io ho fatto la guerra», lo ripeteva spesso, come un intercalare malinconico, quando voleva i nostri occhi compassionevoli. E noi li fermavamo i nostri occhi, su quel viso che era più triste delle parole che diceva.
Era triste il suo viso, sì, quando nonno fermava i suoi pensieri su quel ricordo maledetto.
«Mangiavo le scorce (bucce) delle patate, quando ero prigioniero. Perché io la guerra le so fatte (l'ho fatta)!», ripeteva a volte. E il suo sguardo diventava quasi di sfida verso noi nipoti bambini che ci permettevamo di rifiutare il cibo. Non volevamo mangiare? Che ci lasciassero a digiuno per un po' le nostre mamme. Una mezza giornata, bastava così poco tempo, diceva nonno, «A da vede' dopo coma se le magne! (devi vedere dopo come mangiano)», consigliava con furbizia alle nostre genitrici apprensive, aggiungendo «je le sacce come è la fame (la conosco la fame) perché je so fatte la guerra (perché ho fatto la guerra)!». E noi allora, pur di scansare ancora quel piatto di minestrina che non ci piaceva, pur di avere un ulteriore pretesto per tener lontano il momento della resa alla scodella di pastina, gli chiedevamo di raccontarci, per l'ennesima volta di come faceva a trovare le bucce, quando era prigioniero. 

Non capivamo quale significato avesse quel suo dirci "prigioniero"; quella era una parola ambigua, informe, lontana. Nonno la faceva sembrare misteriosa, la scandiva, respirandoci sopra. In noi bambini, in realtà,  non suscitava particolare interesse: conoscevamo quel termine per averlo sentito con una ricorrenza quasi quotidiana; non sapevamo cosa significasse essere "prigioniero" ma intuivamo che non doveva essere una cosa poi così entusiasmante. Facevamo bleah al pensiero di quelle bucce zozze che nonno diceva di aver mangiato e che, ci dovevamo fidare, erano buonissime. Quando c'era la fame, tutto era buono. 
E mangiavamo quella pastina, anche forse per la paura, che si mettesse davvero in pratica quel consiglio. Non lo dicevamo, ma io lo so, in fondo fondo, avevamo paura anche noi di essere costretti un giorno a rubare le bucce e a mangiarle di nascosto. Nonno era riuscito nell'intento.
E così a volte lui ci sembrava un eroe, quando lo pensavamo soldato di prima. Altre volte invece leggevamo il suo fardello di sofferenze passate. E allora nonno non pareva un eroe. Allora era semplicemente un uomo che aveva sofferto troppo. E che era stanco di soffrire.

Come nasce Nero di memoria
Le storie che avevo fatte mie, nel corso della esistenza, in quella parte della esistenza che è di prima vita, sono state il primo anello di collegamento al mio scritto. Queste storie però le custodisco solo grazie al prodigio del ricordo, prodigio che, ahimè, con il trascorrere degli anni, è destinato a perdere di intensità e ad esaurirsi.
Non ho mai pensato, quando avevo l'opportunità di poter segnare con certezza nomi, date, movimenti, di affidare ad un taccuino almeno i fatti essenziali, in maniera da non perderli con il tempo. Quando poi mi sono accorta che avrei dovuto farlo, non ho più potuto, essendo venuta a mancare la voce che poteva aiutarmi nella ricostruzione.
Per questo motivo, non ho molte notizie certe di quello che è accaduto al capostipite della mia famiglia, nel corso degli anni della Seconda Guerra Mondiale. Ho ricostruito le sue vicende, tentando di collegare i pochi racconti che ricordo, molto frammentari ed imprecisi. La fantasia, per fortuna, è venuta in soccorso delle mie certezze mancanti.
Nero di memoria, perciò, non è la rievocazione della storia dei miei nonni: l'ispirazione ai loro racconti è stata poi condotta su una narrazione che prosegue con molta immaginazione. 
Il racconto ha la presunzione di far rivivere, negli episodi che lo caratterizzano, quegli anni tremendi, dopo l'armistizio di Cassibile, nel settembre del 1943.
La storia è quella di Antonio e Filomena: l'uno impegnato in prima linea e poi internato come prigioniero, l'altra a casa, a tentare di mantenere in vita, sfamando i bambini, quel nucleo famigliare che hanno voluto costruire insieme, in un tempo vicino eppur reso lontano dalle tragedie della guerra.
Amore. Passione. Sofferenza. Tragedia. Questo è Nero di memoria.


Concetta D'Orazio



giovedì 1 maggio 2014

I puntini di sospensione e la sospensione dei puntini

Non riesco a gustare la lettura di un testo che presenta troppi, ma pure pochi, puntini di sospensione. Immagino che chi scrive voglia lasciare al lettore un'apprezzabile razione di mistero e di ambiguità, inframezzando lo scritto con il tris di benedetti segni grafici rotondi. 

Non so apprezzare questa scelta stilistica. Il mio personale compiacimento per la lettura di
quanto ho al momento sotto agli occhi si riduce, se non addirittura si  dimezza, allorquando  mi trovo a dover supplire, con la mia interpretazione, a quanto l'autore mi vuole tenere sospeso con l'antipatico eccesso di punteggiatura inquieta.
In quel momento mi trovo a dover essere io a decidere quanto spazio, tempo, significato, modo di azione e di pensiero devo necessariamente attribuire al momento e al personaggio che un altro, lo scrittore appunto, ha ritenuto dover lasciare al mio libero arbitrio. 
Mi  arrabbio allora e mi dico: «Non poteva farlo lui? Perché devo assumermi simili responsabilità?»

Chi scrive "punteggiando" carica il malcapitato lettore di un peso di giudizio non indifferente, quasi volesse egli stesso sgravarsi dal lavoro che solo lui si è impegnato a, e dunque deve, portare a termine.

Lo scrittore, nel momento in cui decide di voler rendere servigio di redazione di una storia, deve essere puntuale e preciso. Le emozioni di un personaggio devono essere mostrate, misurate, apprezzate o condannate, così pure le decisioni o le azioni. Lo scrittore deve dire e non lasciar intendere.

Chi legge, invece, deve sì trarre le sue opportune considerazioni, ammirando oppure vituperando quanto gli viene proposto. Tutto questo, però, deve essere fatto solo sul testo praticamente completo e integro, e dunque privo dei puntini indisponenti.

Davanti ad un punto fermo, io lettrice mi aspetto che chi scrive mi dica di più, mi faccia sapere. E, dunque, attendo paziente. 
Sarò sicuramente soddisfatta quando l'autore, attraverso la descrizione del prosieguo, mi mostrerà la natura di quella pausa decisa. 
Davanti ai puntini di sospensione, io lettrice non sono sicura che l'autore vorrà spiegarmi, in seguito, l'intrinseca natura di quanto anticipato ma capisco che devo essere io a decidere per lui.
La cosa non mi  piace, mi destabilizza. 
A causa di tutto ciò, potrei anche decidere di non continuare la lettura, sentendomi quasi abbandonata da colui, lo scrivente appunto, che io avevo scelto come narratore.

Mi si potrebbe obiettare che i puntini sospensivi sono necessari a far insorgere un dubbio, un presentimento o un'attesa. 
A mio dire è proprio bravo quell'autore che sa insinuare il dubbio, sa far presagire oppure riesce ad allungare i tempi con la narrazione, piuttosto che con la punteggiatura allungata.

Insomma lo scrittore, lo ripeto, deve scrivere, non demandare. 
Altrimenti perché dovremmo scegliere proprio il suo libro e non  quello di  un altro?


Concetta D'Orazio