sabato 13 luglio 2013

La tendina nera del posto telefonico pubblico.



Ho sentito spesso persone della generazione prima della mia raccontare che un tempo, la sera, si andava tutti al bar del corso o a casa di qualche famiglia benestante del paese a guardare la televisione. Questo non era però un evento ordinario. Andare a vedere la televisione si qualificava come accadimento considerevole che si poteva ripetere solo in occasione di serate importanti, quelle in cui trasmettevano il "Festivàl" (sì, accentato) o qualche puntata speciale di "Lascia o raddoppia".
Questa era la "televisione in casa d'altri". E nessuno si preoccupava di non averla in casa propria.

Il desiderio di possesso di quell'elettrodomestico non sembrava, a quei tempi, turbare angosciosamente le esistenze dei nostri genitori e delle loro famiglie. Allora.
Esistevano dei privilegi, la televisione, il telefono.
Solo alcuni potevano usufruirne liberamente.
Altri dovevano aspettare l'invito, nel caso di un programma in tv, o il bisogno, nel caso di una telefonata urgente.

E non devo risalire a generazioni prima della mia per ricordare il Posto Telefonico Pubblico.
Io stessa rammento quando qualche adulto della mia famiglia mi portava con sé "a telefonare".
Un'esperienza tra il mistico devozionale e curiosità scientifica. La cabinetta telefonica era ospitata in una casa normale. La cabinetta con la tendina nera. Perché poi era nera? Non si doveva mica assistere a delle proiezioni là dentro!
Forse la tendina nera, o al limite bordeaux molto scuro, era posta lì a sottolineare la natura se vogliamo straordinaria e trascendentale dell'evento.
Non so perché ma quella pezzo di stoffa incuteva in me una sorta di rispetto estremo per l'atto che l'adulto che accompagnavo stava per compiere, telefonare, e per il mezzo che si utilizzava per eseguire quella funzione, il telefono.

Sì, ho proprio scritto "funzione": io, bambina, consideravo il momento dell' "andare a telefonare" al pari di una funzione religiosa, di quelle importanti però, che so, come la messa di Pasqua o quella di Natale. E sicuramente le messe di rilievo, nel corso dell'anno liturgico, superavano di gran lunga le telefonate che i miei genitori allora facevano.
La tendina nera o bordeaux poi contribuiva ad accrescere l'importanza di tipo spirituale dell'evento, ricordando sicuramente quella del confessionale.

Più tardi a quell'inutile separé di stoffa si sostituì una porta pesante, molto più adatta ad isolare le chiacchiere dei "telefonanti".
La cabinetta del Posto Telefonico Pubblico, in seguito, fu sostituita,  dalla Signora Cabina Telefonica, posta in uno spiazzo all'esterno, in genere nel luogo più frequentato del paese, sempre però in un angolo alquanto discreto.
E da quel momento finii di essere semplice accompagnatrice di adulti telefonanti per diventare teenager telefonante anch'io, con i miei gettoni e le mie duecento lire.

Intanto quello strano aggeggio con la rotellina spaziale si  era già posizionato sul comò del corridoio di gran parte delle famiglie italiane. Ma noi, adolescenti del tempo, preferivano le chiacchiere nella cabina, intervallate dal "tonf tonf" del gettone che scendava o dallo "stic stic", nel caso stessimo utilizzando la duecentolire.

Nei paesi, le cabine non sembravano affollate. Non era così in città.
Ricordo i tempi di Roma.
Nella capitale e nelle grandi città esistevano dei veri e propri piccoli quartieri. Vi trovavano alloggiamento più cabine. Un paesotto di cabine, insomma. Accadeva spesso di dover fare la fila. L'attesa trascorreva fra il maneggiamento nervoso dei gettoni e un'orecchiata indifferente a quel che stava dicendo il telefonante prima di noi. Non perché avessimo veramente voglia di  ascoltare le sue  parole ma più che altro per ammazzare il tempo. E man mano che il tempo passava, ancor più lentamente se il telefonante di turno era impegnato in una chiamata urbana, lasciavamo cadere lentamente i gettoni uno sull'altro, dalla mano destra alla sinistra e viceversa, sperando che il "tonf tonf" o lo "stic stic" o ancora il "tonf stic" potessero far capire a quello prima di noi che era tempo di riagganciare.

Ecco, ora scrivo questi miei  ricordi con il pc, con l'orecchio attento al segnale dei messaggini del cellulare, quasi che quel che ho raccontato fosse riferito a tempi che non ho vissuto. E mi  chiedo: come abbiamo fatto a sopravvivere allora?
Lo crederanno i nostri figli che siamo sopravvissuti?
E cosa ricorderanno loro quando avranno la nostra età?
- Ricordi quando andavamo sullo spiazzo davanti al comune per agganciare il segnale wii-fii gratuito?
 -Ricordi quando siamo rimasti senza linea adls per due giorni? Da incubo!


Concetta D'Orazio

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